Se non sai cos’è uno sleeve nel mondo del confezionamento (packaging) te lo dico io: si tratta di un’etichetta di materiale plastico termoretraibile che si adatta all’involucro (es. lattine, bottiglie) e lo riveste. Tra le varie caratteristiche, c’è un vantaggio pubblicitario: mette a disposizione un’ampia superficie su cui poter esporre testi e grafica.
Ad oggi esistono persino stampanti digitali per sleeve, per cui è possibile produrre anche basse tirature ed arrivare a personalizzare sleeve per eventi, occasioni speciali ed organizzazioni.
Con PNG, abbiamo messo a disposizione di PackSleeve uno strumento che consente di produrre decine e decine di immagini fotorealistiche di contenitori sui quali è stato applicato uno sleeve con grafica a tema. È una declinazione della tecnologia “web-to-rendering”, analoga alla più famosa “web-to-print”. Ebbene sì, posso dirlo non senza una punta d’orgoglio: noi di PNG l’abbiamo inventata.
La solidarietà non può essere buonismo e, raggiunta una certa soglia di complessità, ha bisogno di controllo e coordinamento.
Un emporio solidale raccoglie viveri ed altri beni di prima necessità e li distribuisce ad indigenti sulla base delle necessità di cui sono portatori, valutate da soggetti autorevoli come la Caritas o l’Associazione San Vincenzo, spesso in collaborazione con il Comune o con l’Azienda Sanitaria.
Per una corretta ed equa distribuzione dei beni di prima necessità, quando gli utenti sono alcune decine, non si può non ricorrere ad un software che aiuti a tener traccia del comportamento economico di ciascuno presso l’Emporio.
Ma c’è un’altra questione: stiamo parlando di organizzazioni basate eminentemente sul volontariato, dunque su disponibilità frammentarie e discontinue. Di nuovo, il software aiuta a mantenere la coerenza del servizio e la conformità rispetto alle procedure definite.
Per completare il quadro occorre tener presente la necessità di rendicontazione. L’Emporio deve riferire ad alcuni importanti enti “sponsor”, in modo da giustificare l’attività condotta.
Con Connexio, tutte queste questioni sono state valutate nel dettaglio e codificate.
Cos’hanno in comune il caso di un’azienda che produce pesce, con fatturato di qualche decina di milioni di Euro, e quello di un’azienda locale con dimensione inferiore di un’ordine di grandezza che si occupa di distribuzione di volantini? Per entrambe, il processo “produttivo” principale consiste nel presidiare il territorio, pianificando visite commerciali ed imparando da ogni campagna, da ogni visita.
Bastano poche persone per creare una situazione sfuggente. In un caso, ciascun cliente genera numerosi dati, nell’altro il volume dei dati è determinato dal numero di persone che si occupano della distribuzione giorno per giorno incontrando gli imprevisti più disparati.
In un caso, ciascun commerciale deve seguire nel tempo una strategia intelligente e ben coordinata. Nell’altro, è importante essere molto reattivi e prendere decisioni rapide per far fronte agli ostacoli che via via si presentano.
In entrambi i casi, Connexio è stata la soluzione, adattandolo sartorialmente ad entrambi i trattamenti di dati.
Hanno molto in comune le reti di consulenti, indipendentemente dalle dimensioni e dall’area geografica di riferimento.
Ho seguito per qualche anno i partner di un fondo d’investimento d’Oltralpe, sto seguendo da molti anni un’organizzazione ad “azienda virtuale” per aziende italiane di media grandezza, specialmente nel settore dell’arredamento, do supporto alla mia stessa rete di collaborazione.
Ah, se non sai cos’è un’azienda virtuale ecco un breve accenno: è un’organizzazione che potenzialmente è costituita da un gran numero di risorse ma che si manifesta solo con alcune di esse progetto per progetto, a seconda delle necessità. Dunque, è come se ci fosse un’azienda di volta in volta diversa.
Tornando all’argomento principale, in tutti i casi il cardine è la diade formata dal programma di comunicazione e condivisione e dal programma di amministrazione. Questo non è molto diverso dalle solite aziende. La problematica specifica è l’estremizzazione di alcuni aspetti:
il personale non è legato ad una sede fisica, si sposta, ma deve comunque poter accedere ai trattamenti di dati in base alle proprie aree di competenza;
siamo nel settore detto dei KIBS, cioè dei Knowledge Intensive Business Services: il prodotto di questi operatori è costituito da asset informativi e conoscitivi condivisi con i clienti;
a seconda della forma organizzativa, i legami tra singolo professionista e resto della rete possono essere più o meno consolidati e duraturi ma in ogni caso ci dev’essere una cabina di regia che poi risponde davanti alla legge, quindi i rischi legali vanno gestiti bene;
possono comparire, anche temporaneamente, figure che interferiscono con il processo evolutivo condiviso con la cabina di regia;
tutte le forme di comunicazione esprimono unitarietà attraverso un livello di coordinamento elevato in rapporto alla debolezza del legame contrattuale con la cabina di regia, ricorrendo, per esempio, al VoIP ed al Centralino Telefonico Virtuale.
Nei vari casi, mi sono trovato ora a potenziare il lato amministrativo ed ora quello di comunicazione e condivisione. Ho notato che, in ogni caso, la gestione dei progetti e delle commesse tende a restare frammentata, con dispersioni anche notevoli di informazione e rischio di amnesia aziendale.
Insieme a Maurizio, ho codificato in modo unitario in Connexio i vari “pezzi” di soluzione che sono riuscito via via a mettere in campo in modo anche decentemente integrato.
Faccio un esempio: le schede anagrafiche di clienti, fornitori, collaboratori etc. Nelle reti di collaborazione, è frequentissima la situazione ibrida in cui lo stesso soggetto assume più di uno di questi ruoli. Come evitare di ri-digitare la stessa scheda e tutti i successivi aggiornamenti sia nel programma di comunicazione e condivisione sia in quello di gestione amministrativa?
Due sono le strade: o si crea un connettore tra i due programmi o… si usa Connexio, l’unico sistema che conosco che comprende entrambi i tipi di trattamento, lasciando fuori solo ciò che riguarda strettamente i rapporti col commercialista.
Se anche tu operi in una rete di collaborazione, sappi che è molto probabile che io possa essere d’aiuto per le questioni inerenti il trattamento di informazioni e conoscenze.
Una comunità è un super-organismo complesso. Nel suo interno circolano molti tipi di informazioni, si scambiano numerose comunicazioni, si creano e si condividono molte conoscenze.
In una comunità complessa, può essere difficile e insostenibile organizzare tutte le informazioni e le conoscenze secondo un unico criterio. Le comunità sono costituite da individui con diverse esperienze, punti di vista, competenze e background culturali. Questa diversità porta a una varietà di prospettive e approcci alla conoscenza.
Organizzare le informazioni in modo centralizzato e secondo un unico criterio potrebbe non tener conto di questa diversità e ridurre la complessità delle conoscenze presenti nella comunità. Invece, può essere più utile adottare approcci flessibili e adattabili per l’organizzazione delle informazioni, consentendo la coesistenza di molteplici criteri e punti di vista.
Un modo per affrontare questa sfida potrebbe essere quello di utilizzare strumenti e piattaforme digitali che consentano una categorizzazione e un’organizzazione flessibile delle informazioni. Ad esempio, l’utilizzo di tag o etichette può consentire alle persone di assegnare diverse prospettive o categorie alle informazioni, consentendo una navigazione più personalizzata e contestuale.
Inoltre, può essere utile promuovere la condivisione e l’interazione tra i membri della comunità, in modo che le conoscenze possano emergere in modo collaborativo e cooperativo. Questo può favorire l’apprendimento reciproco e stimolare l’evoluzione e l’arricchimento delle conoscenze nella comunità stessa.
L’organizzazione delle informazioni e delle conoscenze in una comunità complessa richiede un approccio aperto, flessibile e partecipativo, che tenga conto della diversità e della complessità delle prospettive presenti.
Ci sono diversi strumenti digitali disponibili che possono aiutare nell’organizzazione delle informazioni in una comunità.
Piattaforme di gestione della conoscenza: queste piattaforme consentono di organizzare e condividere informazioni in modo strutturato. Ad esempio, wiki aziendali o software di knowledge management offrono strumenti per creare, modificare e organizzare contenuti in modo collaborativo. La capacità di indicizzare contenuti multimediali e quella di trovare legami tra documenti potenzia la ricerca di contenuti e la collaborazione tra persone.
Strumenti di gestione dei progetti: software di questo tipo possono aiutare a organizzare le informazioni in modo visuale, consentendo di creare elenchi di attività, assegnare responsabilità e tenere traccia dei progressi.
Strumenti di condivisione e archiviazione dei file: le piattaforme di condivisione dei file consentono di archiviare e condividere documenti, presentazioni o altri tipi di file in modo accessibile a tutti i membri della comunità.
Strumenti di messaggistica e collaborazione: applicazioni di messaggistica di gruppo consentono di comunicare e collaborare in tempo reale, facilitando la condivisione di informazioni e la discussione tra i membri della comunità.
Piattaforme di social media: piattaforme che offrono spazi dedicati alla condivisione e alla discussione di informazioni specifiche, consentendo di creare comunità online e organizzare contenuti in modo tematico.
Strumenti di tag e categorizzazione: alcuni strumenti consentono di assegnare tag o etichette alle informazioni per organizzarle in base a categorie o temi specifici.
Questi sono solo alcuni esempi di strumenti digitali disponibili per l’organizzazione delle informazioni in una comunità. La scelta del giusto strumento dipenderà dalle esigenze specifiche della comunità e dal tipo di informazioni che devono essere organizzate e condivise.
Insieme e flusso sono due concetti fondamentali nel nostro pensiero astratto. Sono simili ma differenti. Uno dei due è stato posto a fondamento della matematica. Che succederebbe se lo sostituissimo con l’altro? Considera che l’intero edificio della matematica poggia su una manciata di postulati riguardanti il concetto di insieme: meno di una decina! Dunque, piccole variazioni della loro formulazione possono scatenare effetti a valanga. Cosa succederebbe se, addirittura, sostituissimo il concetto di insieme con quello, più generale, di flusso? Senza entrare troppo a fondo nei tecnicismi, proviamo insieme ad immaginare qualche tratto di un universo (matematico) alternativo.
Il concetto di flusso è più generale di quello di insieme
È piuttosto facile capire che ogni insieme è un flusso in cui il tempo è idealmente congelato ad un certo istante ed in cui ogni elemento è identificabile. Lo è persino la radice quadrata di due, nell’insieme dei numeri reali, visto che esiste un modo per calcolare le sue cifre decimali fino alla precisione desiderata. Oppure, per fare un esempio su un piano della realtà gestibile dai nostri sensi, immaginiamo di enumerare ad una ad una le auto che passano sotto il ponte in cui ci troviamo.
Viceversa, non tutti i flussi sono insiemi. Non sempre è possibile immaginare o rappresentare informaticamente la configurazione di un flusso ad un certo istante. Si pensi ad un flusso di cariche elettriche: troppo veloce e sfuggente per qualunque strumento di misura. Se il ponte dell’esempio precedente è molto alto e se il traffico è molto intenso allora potrebbe essere difficile osservare le auto individualmente, distintamente; ed il flusso automobilistico non potrebbe più essere considerato un insieme.
Vediamo ora come i due concetti siano differenti.
La differenza tra insieme e flusso, da 6 punti di vista
Molto schematicamente, ecco 6 punti di vista dai quali evidenziare le differenze.
Punto di vista ontologico: non è scontato poter individuare gli elementi singoli che compongono un flusso, a differenza di quanto avviene in genere per un insieme.
Punto di vista cognitivo: il cervello tende a categorizzare gli elementi di un insieme in maniera distinta e rigida, mentre percepisce un flusso in modo più elastico e integrato.
Punto di vista del trattamento delle informazioni: un insieme si presta meglio ad un’elaborazione analitica ed estrattiva delle singole parti, mentre un flusso richiede un approccio più sistemico e una comprensione delle dinamiche relazionali.
Punto di vista del trattamento delle conoscenze: un insieme favorisce una conoscenza frammentata ed enciclopedica, mentre un flusso si adatta maggiormente ad una visione interconnessa e in divenire.
Punto di vista temporale: l’insieme dà maggiore importanza al presente e al permanere degli elementi, mentre il flusso sottolinea il divenire e il cambiamento continuo nel tempo.
Prospettiva sistemica: l’insieme evidenzia le singole componenti, il flusso ricorda che fanno parte di un sistema aperto in trasformazione.
Vediamo più in dettaglio che luce getta ciascun punto di vista sulla questione.
La differenza ontologica tra flusso ed insieme
Il punto di vista ontologico è il principale ma forse anche quello meno facile da capire.
In un insieme, anche se composto da molti elementi, questi sono comunque individuabili e distinguibili uno ad uno.
Nel flusso invece molto spesso è più difficile, se non impossibile, individuare le singole “particelle” che lo compongono, che si fondono e si mescolano in continuo movimento.
Ad esempio, si riesce ad enumerare e contare gli elementi di una scatola di spilli, mentre è praticamente impossibile contare una ad una le molecole che compongono un flusso d’acqua corrente.
Il flusso ha dunque una natura ontologicamente più “unitaria” e meno analiticamente divisibile rispetto all’insieme, dove gli elementi mantengono più nettamente la loro individualità.
Ragionare e discorrere su un flusso è quindi diverso dal ragionare e discorrere su di un insieme perché nel primo caso si prendono in considerazione le interazioni col flusso mentre nel secondo caso le interazioni considerate sono primariamente quelle con gli elementi dell’insieme, mentre le interazioni con l’insieme sono fittizie, virtuali, scorciatoie logiche da cuore con attenzione. Per esempio, nei testi che trattano di istruzione degli adolescenti non si dovrebbe mai far riferimento all’adolescente medio, perché non esiste. Orientare un’azione educativa modulandola sull’adolescente medio può rivelarsi estremamente controproducente. Un simile approccio è utile in determinate circostanze e con determinate accortezze. Vedasi per esempio i buyer personas nel mondo del marketing.
La differenza cognitiva tra insieme e flusso
Il punto di vista cognitivo tocca aspetti legati alla percezione e al funzionamento della mente.
Insieme: il nostro cervello cataloga separatamente gli oggetti sul tavolo;
Flusso: la nostra mente percepisce in modo unitario il fluire di un fiume.
In psicologia cognitiva, ci sono degli studi che hanno indagato le differenze nel modo in cui il cervello elabora concetti classificati come “insiemi” rispetto ai concetti legati ai “flussi”.
Uno degli esperti che se n’è occupato è il neuroscienziato Douglas Hofstadter, noto per la sua opera “Godel, Escher, Bach”. Ha scritto anche Fluid Concepts and Creative Analogies, 1995. Hofstadter, nei capitoli 12 e 13 della prima delle due opere citate, analizza la distinzione tra “entità discretizzate” (corrispondenti agli insiemi) e “entità fluidificate” (simili ai flussi).
Secondo Hofstadter, quando percepiamo degli oggetti separati, il cervello tende a categorizzarli rigidamente, creando confini netti. Mentre per i flussi usa schemi cognitivi più flessibili, che tengono conto delle interazioni dinamiche.
Sono stati condotti studi di neuroimaging e psicologia cognitiva che esaminano le differenze nell’attivazione cerebrale tra la percezione di insiemi e flussi. Questi studi cercano di comprendere come il cervello elabora le informazioni in situazioni in cui le caratteristiche statiche degli insiemi differiscono dalle dinamiche dei flussi. Ecco alcuni esempi di tali studi:
Elaborazione visiva: Ricerche sul campo della percezione visiva hanno esplorato come il cervello elabora insiemi di oggetti statici rispetto alla percezione di oggetti in movimento. Ad esempio, alcuni studi hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale o fMRI per identificare le aree cerebrali coinvolte nella percezione di insiemi di oggetti, come il riconoscimento di pattern o la lettura di scritte statiche, rispetto alla percezione di oggetti in movimento.
Attenzione selettiva: La ricerca sull’attenzione selettiva ha esplorato come il cervello gestisce l’attenzione tra insiemi di oggetti e flussi di informazioni. Gli studi hanno utilizzato l’elettro-encefalogramma o EEG, fMRI e altre tecniche per esaminare come l’attivazione cerebrale varia a seconda che i partecipanti siano esposti a stimoli statici o dinamici, e come l’attenzione è focalizzata su elementi specifici all’interno di insiemi o flussi.
Predizione e anticipazione: Alcuni studi hanno cercato di comprendere come il cervello anticipa gli eventi futuri in contesti di flussi di dati o informazioni in movimento. Questi studi hanno indagato l’attivazione cerebrale durante il processo di previsione e hanno utilizzato tecniche di imaging cerebrale per esaminare quali aree cerebrali sono coinvolte in queste attività.
La differenza tra insieme e flusso nel trattamento delle informazioni
Il computer è come un cervello elettronico: sia il computer sia il cervello svolgono funzioni cognitive ed elaborano informazioni. Le conoscenze possono essere intese come una sorta di distillato delle informazioni, il risultato del metabolismo delle informazioni, ciò che resta dopo aver analizzato le informazioni e collegate con conoscenze pregresse ed altre informazioni. Dati e fatti, senza una lettura organica, sono informazioni e non conoscenze. Vediamo, da questo punto di vista, come trattare informazioni inerenti insiemi sia diverso da trattare informazioni inerenti flussi.
Nella teoria dell’informazione ci sono concetti e modelli che rispecchiano le differenze:
Un insieme di dati è spesso strutturato e categorizzato, ad esempio in una tabella database, permettendo analisi sulle singole feature/colonne.
Un flusso di dati è tipicamente non-strutturato e dinamico, come nei sistemi complessi. Richiede approcci di data mining più flessibili (es. machine learning) per comprenderne le relazioni.
Tutto però parte dalla nostra mente. Noi elaboriamo informazione già alla fonte in modo diverso a seconda che abbiamo a che fare con insiemi o con flussi.
Insieme: analizziamo le diverse caratteristiche di ogni pianta nell’orto.
Flusso: osserviamo l’evoluzione nel tempo del traffico in città.
A livello algoritmico, cioè di progettazione delle procedure di trattamento, non stupisce la necessità di ricorrere ad approcci dedicati e ben differenziati.
Nei software, si usano database relazionali che trattano prevalentemente insiemi statici di record, mentre la data stream mining si occupa di flussi continui e di dati in divenire.
Nell’ambito delle reti di telecomunicazione, i modelli di elaborazione a pacchetti separati si adattano a insiemi discreti di informazioni, mentre le simulazioni di flussi continui riguardano sistemi di comunicazione in tempo reale.
Altro esempio è la compressione dati: gli algoritmi ad insiemi fissi sono ottimizzati su blocchi separati, mentre quelli a flussi trattano stream incomprimibili singolarmente.
Le reti neurali artificiali si collocano in una posizione intermedia tra insiemi e flussi da un punto di vista del trattamento delle informazioni.
Se non le conosci, ti basti sapere che si tratta di costrutti informatici che hanno un comportamento analogo, per alcuni aspetti, a quello delle reti di neuroni: i singoli neuroni interconnessi ricevono segnali, rappresentati da serie di numeri; elaborano i segnali in ingresso modulandoli con dei coefficienti di pesatura e producendo eventualmente un segnale in uscita se i segnali in ingresso raggiungono una certa soglia d’intensità minima. I coefficienti devono essere tarati prima di potersi aspettare un minimo di affidabilità. La taratura viene chiamata: addestramento o training. Il tipo di connessioni tra neuroni, cioè la topologia della rete, è qualificante e ne determina l’utilità a seconda dello scenario di utilizzo. Per esempio, se una rete neurale ha cortocircuiti allora si dice retroattiva ed ha capacità di auto-apprendimento.
Da un lato, molti tipi di reti neurali vengono addestrate su insiemi statici di dati, come accade nell’apprendimento supervisionato, avvicinandosi al paradigma degli insiemi.
Dall’altro lato però, una volta addestrate sono in grado di elaborare flussi continui di input, come nel deep learning online. In questo caso la loro natura si avvicina più a quella dei flussi.
Inoltre, alcune classi di reti neurali come i recurrent neural network o i reservoir computing network (per esempio la Echo State Network) sono progettate proprio per catturare effetti di memoria e dinamiche temporali, tipiche dei flussi.
Si può dunque dire che le reti neurali:
nella fase di addestramento si avvicinano agli insiemi discreti di dati;
una volta addestrate sono in grado di gestire flussi continui di informazioni in ingresso;
alcuni tipi sono più “fluidificate”, particolarmente adatte proprio a contesti di flusso.
Questa considerazione apre ad una riflessione potenzialmente interessante: caratterizzare costrutti informatici che, come le reti neurali, non sono pienamente comprensibili se li si guarda solo dal punto di vista algoritmico. Ci sono altri due esempi interessanti da questo punto di vista: gli algoritmi genetici ed una mia piccola giocosa invenzione che potremmo chiamare: “algoritmi con memoria“.
La differenza epistemologica tra insieme e flusso
Dal punto di vista epistemologico, un approccio classico al trattamento della conoscenza da parte dell’uomo è l’enciclopedismo, che si basa sulla catalogazione analitica di sapere predefinito in categorie statiche. Questo riflette il paradigma degli “insiemi” di conoscenza ed è caratterizzato da grande stabilità.
Uno studioso che, invece, si è occupato invece dell’acquisizione dinamica e relazionale della conoscenza è Gilbert Simondon, con i concetti di “individuazione” e “realtà preindividuale”. Per Simondon la conoscenza emerge da un campo di tensioni in continuo divenire. Si tratta evidentemente di un approccio più vicino al concetto di flusso.
Anche la teoria dell’apprendimento complesso di Edgar Morin considera il sapere come proprietà emergente di sistemi aperti in transizione, lontano dalla logica dell’insieme di parti.
Per entrambi, il focus è evidentemente spostato dall’individuo, dall’oggetto in sé dello studio, alla relazione.
Questi diversi approcci epistemologici hanno riflesso a livello pratico e toccano uno dei temi più in voga in questo momento: alludo all’Intelligenza Artificiale. L’epistemologia fornisce una visione critica su come rappresentare, organizzare e far “apprendere” la conoscenza alle macchine e può stimolare lo sviluppo di tecnologie cognitive più aderenti alla reale natura del sapere.
In ambito ingegneristico, l’intelligenza artificiale tradizionale implementa conoscenza formale e rigida, più simile agli insiemi. L’IA connessionista si avvicina di più ai flussi per la capacità di auto-organizzazione.
La differenza tra insieme e flusso nella prospettiva temporale
Il fattore tempo è cruciale nel distinguere tra l’approccio insiemistico e quello basato su flussi. Nel primo, il tempo è una dimensione, un aspetto. Nel secondo è parte integrante della rappresentazione, del modello mentale o informatico.
Ecco una serie di esempi che chiarisce bene la differenza:
Fisica: la meccanica classica si basa su concetti statici/insiemi, la meccanica quantistica introduce il flusso temporale di probabilità.
Biologia: la fotografia coglie l’istante, lo studio dei processi evolutivi cattura il flusso di mutamento.
Storia: le epoche sono insiemi fissi, i processi storici sono le dinamiche che le attraversano.
Psicologia: i test misurano “stati”, la terapia segue l’evoluzione nel tempo.
Cinema: i fotogrammi sono insiemi di oggetti e persone, la pellicola in movimento riproduce un flusso di eventi.
Musica: la nota è qualcosa di fissato, l’esecuzione melodica è fluire di tempo ed intensità.
Narrativa: i capitoli possono esser visti come contenitori di persone e di eventi, la trama come flusso sequenziale.
Filosofia: l’ontologia si basa su entità, il divenire tratteggiato da Eraclito è flusso.
Dove il discorso logico vacilla, la poesia ci aiuta ad oltrepassare i limiti del linguaggio, che si fanno angusti.
Leopardi ha rappresentato la natura del tempo ne “L’infinito”:
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
La differenza tra insieme e flusso nella prospettiva sistemica
La teoria dei sistemi complessi fornisce un solido fondamento per leggere gli ecosistemi come manifestazione concreta del paradigma del flusso. Le griglie concettuali basate sugli insiemi, viceversa, portano alla perdita di complessità in quanto riducono il tutto alla somma delle parti.
Insieme: classifichiamo le specie animali della foresta, oppure i vari organi e tessuti che compongono il corpo umano o, ancora suddividiamo una comunità in categorie come ceti, professioni e gruppi formali;
flusso: osserviamo le interdipendenze ecologiche in atto, le interazioni dinamiche e gli scambi metabolici tra tessuti ed organi, i processi di identificazione nelle comunità e le evoluzioni delle reti di relazioni sociali.
Dal punto di vista della teoria dei sistemi, gli ecosistemi naturali sono considerati prototipi di sistemi aperti e complessi in continua evoluzione.
Uno studio pionieristico in questo senso è stato condotto da Eugene Odum negli anni ’50, introducendo il concetto di successioni ecologiche per descrivere il fluire dinamico delle interazioni all’interno degli ecosistemi nel tempo.
Successivi lavori di Prigogine mostrano come i sistemi naturali abbiano proprietà emergenti a livello macroscopico che non possono essere ridotte alla somma delle singole parti.
Gli ecosistemi dunque si prestano come esempio calzante di sistema profondamente integrato: sebbene possano essere analizzati gli elementi costitutivi in un dato istante, questo non è sufficiente per comprenderli nell’insieme.
Al contrario, la classificazione delinea categorie statiche di elementi, riflesso dell’approccio tipico dell’insieme. Questo va bene quando abbiamo il pieno controllo del sistema osservato, i legami causali sono identificabili e le interazioni sono misurabili. È come dire che abbiamo piena conoscenza, istante per istante, di ciascuno degli elementi dell’insieme corrispondente al sistema in esame. Avere un metodo di enumerazione consente di gestire, di redigere check-list, di calcolare in modo ottimizzato, di contabilizzare…
Dal punto di vista sistemico, è possibile comunque concepire un approccio basato sugli insiemi, che metta in evidenza:
la classificazione delle componenti di un sistema in categorie distinte e separate;
l’analisi delle proprietà e delle funzioni di ciascuna componente considerata individualmente;
la decomposizione gerarchica del sistema in sottosistemi e parti sempre più elementari;
la comprensione del sistema attraverso lo studio analitico delle interazioni fra gli insiemi costitutivi.
Dunque, focalizzando un aspetto alla volta, un approccio analitico basato sull’insiemistica può portare ad un’ampia conoscenza del sistema studiato. Il suo limite è di lasciare implicita la conoscenza profonda, di non considerare correlazioni e legami causali inespressi. Il rischio è quello di illudersi di avere il controllo, fornendo spiegazioni, a volte persino auto-coerenti, da singoli punti di vista, come se ciascuno di essi fosse l’unico possibile e contenesse tutte le certezze necessarie.
La scienza ci ha insegnato che esistono entità intrinsecamente probabilistiche e sistemi che non possiamo descrivere compiutamente in modo auto-coerente, come sancito dal teorema di incompletezza di Gödel. Dobbiamo accettare che in ogni sistema complesso c’è un incomprimibile quanto di mistero…
Fantamatematica
L’edificio matematico si fonda sulla teoria assiomatica di Zermelo Fraenkel. Si tratta di 7 – 8 assiomi… poca roba… Eppure reggono un peso enorme: algebra, geometria, topologia, teoria dei numeri, teoria delle probabilità, calcolo, combinatoria e analisi.
La teoria degli insiemi può essere vista come un caso particolare di una teoria matematica più generale basata sui flussi. Alcuni punti che avvalorano questa visione: i flussi…
…permettono di cogliere aspetti qualitativi e non solo quantitativi dei sistemi;
…consentono di formulare concetti matematici anche per realtà non discretizzabili come curve e campi;
…risultano più aderenti a sistemi dinamici e stocastici della fisica e altro.
Il lavoro da farsi è considerevole: andrebbero generalizzati concetti come funzione, limite, derivata da oggetti fissi a flussi continui.
Questo però potrebbe aprire nuove prospettive per estendere ulteriormente la matematizzazione a sistemi non coerenti con l’ottica insiemistica tradizionale.
Anche la Scienza dell’informazione trarrebbe giovamento dall’uso dei flussi. Le fondamenta della teoria classica, sviluppata da Shannon, sono insiemistiche ma tale teoria incorpora già nelle origini alcuni aspetti da flussi. Shannon stesso si rese conto che nella comunicazione reale i segnali sono flussi continui nel tempo e nello spazio. Introdusse quindi nozioni di derivate, integrali e variabili casuali continue. Le evoluzioni più recenti enfatizzano ulteriormente questa componente dinamica e continua. Teorie successive, come quella dell’informazione computazionale e dell’informazione quantistica, hanno ulteriormente spostato l’attenzione sui flussi. In ingegneria delle telecomunicazioni si usano sia modelli discreti che continui a seconda dell’applicazione.
Potrebbe essere fertile ripensare anche la logica formale proprio a partire dalla nozione più primaria di flusso, invece che da concetti prettamente insiemistici come variabili e valori di verità. Il “filo logico” di un ragionamento è appunto un flusso sequenziale di passaggi. La semantica denotazionale in logica si fonda sul concetto di flusso di informazioni in una dimostrazione. Alcuni concetti logico-formali potrebbero essere riconcettualizzati in termini di: flussi di informazioni, transizioni semantiche, evoluzioni temporali, dinamiche causali. Questo potrebbe aprire a una “logicizzazione” di concetti propri delle scienze dinamiche. Seppur complesso, può essere uno stimolo per ripensare in modo più aderente la natura “scorrevole” anche del pensiero logico-deduttivo.
Concludendo…
Sappiamo che la matematica attuale ha qualche problemino con la teoria della misura (v. paradosso di Banach-Tarski, dimostrato un secolo fa). Mettiamo nel calderone anche la misura della complessità algoritmica e quindi l’annosa questione della congettura “P=NP?”, risalente a mezzo secolo fa. Misurare ed individuare è proprio ciò che nel mondo degli insiemi è semplificato rispetto al mondo dei flussi: come abbiamo visto, negli insiemi si può sempre individuare ogni singolo elemento.
Sappiamo anche che la fisica e l’informatica trattano sostanzialmente flussi (materia, energia, informazione) e che il linguaggio matematico è basato sugli insiemi, non sui flussi. Questo spiegherebbe perché ci sono oggettive difficoltà, in fisica, a descrivere alcuni fenomeni – e se il dualismo onda-particella si risolvesse introducendo il concetto di flusso?
Abbiamo insomma alcuni indizi: ripartire dai flussi può rivelarsi un’opportunità. Occorre accettare l’idea di immergersi nella complessità – e matematizzarne il paradigma! – ed abbandonare eroicamente le tranquille sponde del semplice e del complicato.
Una ricetta di cucina, una ricetta chimica, una distinta base industriale, un programma per computer… sono tutte procedure e tutte vengono espresse sotto forma di elenco di istruzioni da eseguire. Gli informatici un tempo lo chiamavano: “listato”. Uno mi può obiettare che nella distinta base ci sono sia voci indicanti lavorazioni sia voci indicanti materiale. A ben vedere, anche queste ultime indicano indirettamente un’azione. Se la distinta base di produzione di una penna indica un cappuccio, quando consegno l’ordine di produzione al reparto, il personale sa che dovrà prelevare il cappuccio e disporlo nella confezione della penna. Istruzioni.
Accendiamo l’immaginazione su una ricetta o una distinta base o un programma per computer. Sogniamo che il listato fluttui nello spazio 3D ed introduciamo dei legami tra una riga e la sua successiva in modo da non perdere il filo quando il listato viene eseguito.
Infine aggiungiamo un’istruzione qualunque nello spazio circostante il nostro listato e colleghiamolo ad una delle istruzioni esistenti. Distinguiamo il nuovo legame dagli altri usando un colore diverso.
Se conveniamo di preferire i legami di un certo colore e di trascurare gli altri, la modifica che abbiamo apportato non altera il flusso esecutivo del listato.
Il colore può essere tradotto anche come peso, importanza relativa nell’esecuzione del flusso operativo. Generalizzando, possiamo avere non più solo una sequenza di esecuzione delle istruzioni corrispondente a quella costituita dal listato: si possono predisporre vari percorsi ed anche criteri per tarare l’importanza relativa delle connessioni, cioè attuare un apprendimento.
di primo acchito, puoi restare stupito o perplesso.
Significa che “1” e “0,999…” rappresentano la stessa quantità.
Siti web, video, libri… le diverse spiegazioni e dimostrazioni di questa uguaglianza, che è un fatto matematicamente accettato, hanno dato luogo a numerose riflessioni e discussioni. In comune, le varie dimostrazioni hanno il ricorso ad un tipo di passaggio matematico detto: “passaggio al limite”. È piuttosto intuitivo ma ha implicazioni non banali e, qualche volta, persino contro-intuitive. Se non lo conosci già, provo a spiegartelo qui di seguito.
Ecco un esempio basato sulle fette di torta. Supponiamo di avere a disposizione una certa quantità unitaria, per esempio una torta, e di poterla dividere in tante parti uguali quante ne vogliamo. Se divido per 2, otterrò due belle fettone grandi. Se divido per 3, ciascuna fetta sarà molto più piccola, se divido per 4 sarà ancora più piccola… Se divido per 1000, ogni fetta sarà probabilmente trasparente… Dunque se n è il numero di parti uguali in cui divido la torta, la dimensione della fetta, pari a 1/n, tende a diventare sempre più piccola, sempre più piccola…
n
1/n
rappr. decim.
1
1
1,000…
2
½
0,5000…
3
1/3
0,333…
4
1/4
0,25000…
…
…
…
100
1/100
0,01000…
…
…
…
100.000
1/100.000
0,000001000…
…
…
…
∞
1/∞
0,000…
Se potessi scrivere all’infinito e completare la tabella, riuscirei a scrivere anche l’ultima riga… ma non posso!
Possiamo immaginare che, al limite, quando n tende verso l’infinitamente grande, 1/n vale quasi 0. Per riassumere questa situazione possiamo dire che: “se n tende all’infinitamente grande, il limite di 1/n è 0″.
\lim_{n\rightarrow\infty}\frac{1}{n}=0
Torniamo alla nostra sorprendente uguaglianza tra 1 e 0,999… Come dicevo, in un modo o nell’altro, risulta che se si potessero scrivere tutte le infinite cifre del membro destro dell’uguaglianza (“0,999…”) allora si potrebbe descrivere compiutamente una quantità identica a quella espressa del membro sinistro con il solo simbolo “1”.
Sinceramente, faccio una gran fatica ad accettare che un ragionamento matematico si fondi su qualcosa che è impossibile. Se condividi, accompagnami in un brevissimo viaggio verso una maggiore profondità nell’oceano matematico.
Sul fondale dell’oceano troviamo gli schemi mentali comuni alla maggior parte degli esseri umani in quanto indotti da fattori fisiologici.
Uno di questi schemi, secondo me, è quello dell’errore controllato. La nostra mente è molto brava ad astrarre eliminando particolari inessenziali e riempiendo vuoti con contenuti plausibili. Praticamente ogni comunicazione, in qualunque forma, anche quella del linguaggio non verbale, sfrutta l’uso di percezioni sensoriali per trasmettere pensieri in modo indiretto, attraverso segni e simboli, compreso il linguaggio del corpo. Per esempio, la lettura della parola: “albero” evoca nella tua mente la tua idea di albero, che si è formata nella tua memoria per esperienza. Ciascuno degli alberi che hai visto assomiglia alla tua idea di albero. La nostra memoria fissa solo una piccola parte del dato sensoriale, sicché gli errori sono già alla fonte. Si tratta sempre e comunque di errori sotto controllo, cose che possiamo gestire. Se così non fosse, o meglio, quando occasionalmente comprendi male o apprendi in modo errato, possono accadere incidenti ed esperienze indesiderate o dolorose perché progetti comportamenti basandoti su modelli predittivi non aderenti alla realtà, non veritieri.
Propongo di rifare il ragionamento riguardante “1=0,999…” basandoci sull’idea di errore controllato anziché su quella di passaggio al limite. L’idea sottostante è che il passaggio al limite è reso paradossalmente possibile da una nostra limitazione: la capacità di discriminare tra due quantità indicate da altrettante scritture non è infinita, ha sempre e comunque una certa precisione. Oltre una certa precisione non arriviamo, sicché due scritture possono risultare confondibili, nel senso che tendiamo ad identificare le quantità o gli schemi da essi indicati, anche se non sono in tutto e per tutto identiche.
È vero o falso che “1” e “0,999…” rappresentano la stessa quantità? Lavorando sulla rappresentazione decimale, mi accorgo che qualunque metodo di controllo, qualunque procedura per misurare la differenza tra la quantità indicata da “1” e quella indicata da “0,999…” è destinato ad essere inconcludente o meglio ciclico, ripetitivo, rinviando ad ordini di grandezza sempre più bassi. Prima o poi però mi devo fermare, non c’è niente da fare: la mia natura è finita, qualunque tecnologia è basata su materia ed energia disponibili in quantità finita. Se non altro, mi fermerò perché non reggo la noia oltre un certo limite o perché intuisco che non potrà mai cambiare nulla, che le mie azioni mentali non potranno far altro che ripetersi.
Rilevare che una procedura è ciclica è un’atto mentale fattibilissimo. Non sempre è facile: si pensi ad un numero decimale periodico con un periodo lungo mille cifre. La procedura che ci consente di calcolare la prossima cifra dello sviluppo decimale è ciclica ma accorgersene potrebbe risultare molto difficile. Nel nostro caso non è così: bastano pochi passaggi per accorgersene. Bastano pochi passaggi e ci accorgiamo che la produzione della prossima cifra di 0,999… comporta l’esecuzione di passi identici a quelli precedenti, salvo scendere di ordine di grandezza. Comunque, se la nostra precisione di calcolo è prefissata, non serve neppure l’abilità di rilevare ciclicità: basta calcolare una quantità di cifre decimali pari a quelle che la nostra precisione ci consente di gestire. Ad un certo punto, la differenza tra 1 e 0,999… sarà inferiore alla soglia di precisione.
Per chi conosce il principio d’induzione: ebbene sì, abbiamo una procedura (che si può scrivere in funzione della nostra soglia di precisione) che arriva sempre a costruire uno sviluppo decimale di 0,999… quantitativamente equivalente a 1 in relazione alla nostra capacita di discriminare tra quantità, riferita a quante cifre decimali riusciamo a gestire.
Possiamo allora concludere che “1” e “0,999…” sono confondibili, nel senso che indicano la stessa quantità, salvo un eventuale errore talmente piccolo da poter essere trascurato.
Attenzione! Non siamo costretti ad ammettere che “1” e “0,999…” siano la stessa scrittura o che siano due scritture intercambiabili, ma solo che indichino sostanzialmente la stessa quantità, sicché sono intercambiabili nei ragionamenti in cui non conta la forma ma la “sostanza”. Possiamo mantenere distinte le due relazioni di uguaglianza tra scritture “=” e di confondibilità “≈”, evitando di dare per scontato – potrebbe essere una forzatura – che siano la stessa cosa. Ammettiamo solamente, almeno per ora, che due scritture formalmente e computazionalmente diverse come “1” e “0,999….” siano confondibili nel senso che esprimono sostanzialmente la stessa quantità. Scriviamo dunque così per indicare la confondibilità:
1 ≈ 0,999…
Vorrei ora proporre una situazione un po’ particolare che ci aiuti a generalizzare l’idea di confondibilità e ad apprezzare la distinzione tra essa e l’uguaglianza algebrica, quella indicata con: “=”, in modo più generale.
Immaginiamo ora un nuovo tipo di numeri, rappresentabili in base 10 con un numero finito di cifre decimali, le cui ultime cifre decimali fluttuano nel tempo in modo casuale.
Per prima cosa, notiamo che le scritture indicanti quantità significano davvero qualcosa se c’è qualcuno che le legge e le interpreta. Ogni lettura è un atto concreto, un evento a se stante, irripetibile perché la nostra esistenza ha natura lineare. Due letture possono essere molto simili ma comunque c’è almeno una differenza: l’istante in cui vengono fatte o la persona che legge. In generale, non è garantito che ogni lettura dia sempre lo stesso identico effetto, che la scrittura sia interpretata sempre perfettamente allo stesso modo.
In altri termini, non è così assurdo concepire una scrittura indicante quantità che, se viene letta più volte, fornisca sempre le stesse prime cifre ma, sotto un certo ordine di grandezza, le restanti cifre possano variare potenzialmente ad ogni lettura in modo imprevedibile per chi le legge.
Non serve assumere sostanze psicotrope. Per esempio, si possono far scrivere le ultime cifre con una lente potente da un amico, per poi leggere le stesse cifre senza l’ausilio di nessuna lente. Quando faccio l’esame dall’oculista o dall’ottico succede qualcosa del genere. Ogni volta che provo a leggere una scrittura troppo piccola, tento di indovinare, interpretando ciò che percepisco in modo fluttuante.
Paziente: dottore, vedo una F ma forse è una R. Dottore: Sicuro? Non potrebbe essere una E o una B?
In informatica, non è per nulla difficile immaginare una situazione del genere, anzi è un problema in cui spesso si incappa. Capita per esempio di usare programmi per dati contabili con precisione di due cifre dopo la virgola, per poi trovarsi in difficoltà quando vengono coinvolti beni che si usano in grande quantità, per cui basta una fluttuazione di cifre decimali di ordine molto basso per causare effetti apprezzabili.
Ecco perché, per esempio, i prezzi dei combustibili alla pompa vengono indicati con 3 o 4 cifre dopo la virgola, anche se nella valuta corrente si trattano solo le prime due.
Recepire il concetto di confondibilità, di errore sotto controllo, di precisione limitata è, da un lato, matematicamente… spaventoso! Però apre un mondo di possibilità. Per esempio, fu proprio in conseguenza alla limitatezza nella precisione dei calcoli meteorologici che Edward Lorenz diede vita alla teoria matematica del caos. La riflessione sarebbe molto ampia, limitiamoci qui ad una situazione più specifica ma comunque significativa.
Attrattore strano di Lorenz. Il grafico rappresenta l’evoluzione di un sistema. Lo spazio geometrico della rappresentazione è chiamato “spazio delle fasi” ed ogni punto rappresenta una configurazione del sistema.
Tornando a questi nostri strani numeri con le ultime cifre fluttuanti, oggetto di questa piccola riflessione, diamo loro dignità attribuendo loro un nome, quello di “numeri fluttuanti” e chiediamoci se e come possiamo trattarli. Abbiamo già visto alcuni modi per crearli e per leggerli. Come possiamo farci dei calcoli? Quali attenzioni avere per manipolarli “rispettosamente”, senza perdere alcuna informazione e quindi preservare il più possibile il livello di precisione? Per esempio, come fare la somma tra due numeri fluttuanti?
Rivediamo più in dettaglio come possiamo interagire con un numero fluttuante. Ad ogni accesso in lettura al numero fluttuante otterremo come esito una sequenza di cifre che rappresenta un numero decimale in base 10 con una quantità di cifre superiore alla nostra capacità di distinguere tra quantità con simili rappresentazioni. Ciascuna delle scritture ottenute indica sostanzialmente sempre la stessa quantità. Le varie scritture, considerate nell’insieme, possono costituire una sequenza di interazioni in coinvolgenti un unico osservatore o possono essere una collezione di interazioni avvenute in parallelo coinvolgendo più di un osservatore. Questo, ai nostri fini, non importa. Ciò che conta è che possiamo sfruttare il lavoro già fatto dai matematici relativamente al calcolo numerico con approssimazione.
Per esempio, consideriamo l’algoritmo di Kahan detto anche della sommatoria compensata. Grazie ad esso, l’errore peggiore possibile è indipendente dal numero degli addendi, dunque un gran numero di valori possono essere sommati con un errore che dipende solo dalla precisione della rappresentazione in virgola mobile.
All’economia di questa nostra breve immersione nelle profondità matematiche, non serve approfondire la procedura di calcolo, ci basta sapere che si può fare. Idem per altre operazioni aritmetiche. Ciò che conta è sapere che i numeri fluttuanti sono trattabili.
Due scritture di numeri fluttuanti possono essere uguali o no, confondibili o no. Se sono confondibili ma non uguali, il loro trattamento aritmetico è fattibile, come detto, ma fa emergere alcune criticità.
Un numero fluttuante è un individuo o un insieme?
Cosa succede alla precisione, cioè alla quantità di informazione, della scrittura risultante a seguito di un computo (o calcolo, elaborazione aritmetica) su numeri fluttuanti? Come distinguere tra metodi che preservano la precisione da quelli che la riducono?
Durante l’immersione abbiamo assistito all’entrata in scena del soggetto pensante o del processore. Come si sviluppa la relazione tra processore e numeri fluttuanti? In che modo questo è correlato alla precisione?
Queste domande saranno argomento di altri post. La conclusione è che, toccato il fondale, possiamo iniziare a scavare!
Il paradigma della complessità può aiutare a comprendere cosa sia la consapevolezza e come acquisirla?
In questa breve riflessione, condotta con Stefania Zin e Paolo Mazzetto, vorrei focalizzarmi su un concetto del paradigma che mi sembra particolarmente utile allo scopo.
Cominciamo col richiamare alcuni concetti chiave del paradigma, per collocarci nel giusto contesto:
Emergenza. I sistemi complessi generano comportamenti emergenti che derivano dalle interazioni tra le loro componenti, non sono riducibili alle singole componenti e non possono essere predetti in anticipo.
Non linearità. Le interazioni all’interno dei sistemi complessi sono non lineari, causando comportamenti difficili da prevedere. Anche piccoli cambiamenti possono causare grandi effetti.
Auto-organizzazione. I sistemi complessi tendono ad auto-organizzarsi in maniera spontanea e bottom-up. Non sono progettati o gestiti in modo centralizzato.
Feedback. I sistemi complessi sono influenzati da forti feedback positivi e negativi che ne modificano il comportamento nel tempo.
Adattabilità. I sistemi complessi sono adattativi, possono cambiare e mutare per sopravvivere in ambienti dinamici.
Olocausalità. La complessità nega il riduzionismo cartesiano, sostenendo che il tutto è più della somma delle sue parti.
Biforcazioni. I sistemi complessi raggiungono punti di biforcazione in cui possono evolversi in diverse direzioni, generando futuri multipli e diversi.
Chiarito il riferimento al quadro concettuale, applichiamo il primo concetto alla psiche umana, un sistema estremamente complesso, modellato dagli studiosi in tanti modi. Generalmente, essi convergono su almeno questi componenti chiave:
La coscienza: comprende tutti gli stati mentali di cui siamo consapevoli, come pensieri, sentimenti, percezioni e ricordi.
L’inconscio: comprende tutti quegli aspetti della mente di cui non siamo consapevoli ma che influenzano comunque il nostro comportamento. Deriva in gran parte dal funzionamento dell’apparato neuronale.
Il Sé: il senso di identità personale e di continuità nel tempo. Deriva dall’interazione tra coscienza, memoria e percezione di sé.
Le emozioni: stati affettivi che influenzano i processi mentali e il comportamento. Derivano da fattori cognitivi (come pensieri ed esperienze) e fisiologici.
La personalità: tratti stabili e abitudini mentali che caratterizzano l’individualità di una persona.
Queste componenti interagiscono in modo intrecciato e dinamico, spesso in modi non lineari. Ad esempio:
Le emozioni influenzano i pensieri coscienti e lo sviluppo della personalità.
I processi inconsci influenzano l’umore, le percezioni coscienti e il comportamento.
Il senso di identità influenza ed è influenzato dalle emozioni, dalla memoria cosciente e dagli schemi mentali inconsci.
Pensieri e percezioni coscienti a loro volta influenzano gli aspetti inconsci della psiche umana.
Queste interazioni generano uno spazio, un nuovo livello in cui hanno luogo fenomeni (umore, senso di identità…) che seguono leggi in qualche modo riconducibili ma non riducibili alle leggi delle componenti della psiche. Posso intuire di che umore è l’amico con cui chiacchiero ma non riesco a calcolarlo a partire da singoli comportamenti. Un esempio ancora migliore è il gusto: il gradimento di un cibo o di una bevanda è legato persino a fattori estetici (“anche l’occhio vuole la sua parte”) e culturali (mai provato a degustare vino in compagnia di un sommelier esperto?), non è riducibile ai segnali trasmessi dalle papille gustative.
Cos’è lo spazio in cui hanno luogo questi fenomeni (il gustare il vino o la compagnia di un amico caro)? Di quale livello si tratta?
La coscienza emerge dall’interazione di grandezze psicologiche più elementari, come percezioni, emozioni, pensieri, ricordi. Queste componenti più semplici interagiscono in modo complesso per generare lo spazio che conosciamo per antonomasia: quello della coscienza.
La coscienza possiede proprietà che non possono essere ridotte alle sue componenti costitutive. Ha una qualità di soggettività e unità che vanno oltre le singole percezioni o ricordi. Ciascuna persona è unica anche se ha un gemello omozigote, perché ha comunque una storia, un percorso di vita a se stante.
La coscienza diventa manifesta solo ad un certo livello di complessità del sistema psichico, indicando che emerge da un insieme critico di componenti che interagiscono dinamicamente.
Cambiamenti nelle componenti psichiche di base (ad esempio percezioni, emozioni etc.) possono alterare o modificare lo spazio cosciente in modi imprevedibili, indicando che la coscienza dipende dalla dinamica dell’intero sistema, non dalle sue parti.
Rivediamo il ragionamento da un altro punto di vista e facciamo un passo in più per raggiungere, oltre la coscienza, la consapevolezza. In generale, una persona può essere considerata a vari livelli di astrazione o piani dell’esistenza:
Il livello fisico o materiale: le particelle elementari, molecole, cellule che compongono il corpo umano. Questo è il livello più basso.
Il livello biologico: i sistemi organici e fisiologici che permettono al corpo di funzionare.
Il livello psicologico: la mente, la personalità, le emozioni e i processi mentali. Qui iniziano a emergere proprietà che non possono essere ridotte puramente ai livelli biologico e fisico.
Il livello sociale: le relazioni e l’identità di una persona in quanto parte di una società e di una cultura.
Il livello spirituale o metafisico: la coscienza nel suo senso più ampio, la spiritualità e il senso di identità o unità con la realtà nel suo complesso. Questo è spesso considerato il livello più alto.
È facile intuire che la consapevolezza si colloca tra il terzo ed il quarto livello. Dunque andiamo ad analizzare più approfonditamente questa zona. Ci accorgiamo che si possono distinguere:
Il livello delle componenti psichiche pre-coscienti: percezioni, emozioni, pensieri, ricordi. Sono gli “ingredienti” che formano la coscienza ma di per sé non sono ancora coscienti.
Il livello della coscienza emergente: quando le componenti pre-coscienti interagiscono in modo complesso, emerge uno spazio di esperienza soggettiva unificata. Questa è la coscienza di base.
Il livello della consapevolezza emergente: quando la psiche diventa capace di pensare ai propri contenuti coscienti, emerge la consapevolezza. Questo implica capacità riflessive e intenzionali.
Il livello meta-consapevole: alcune persone sviluppano uno stato di consapevolezza approfondito e continuo, andando “al di là” della normale coscienza limitata. Questo è considerato il livello più alto.
Focalizziamo ulteriormente, distinguendo un ulteriore livello, posto in questa sequenza (dal basso verso l’alto): coscienza, consapevolezza, auto-coscienza, meta-coscienza.
La coscienza è il livello più basilare, consiste nel rendersi conto semplicemente di sé e dell’ambiente circostante.
La consapevolezza implica una conoscenza più riflessiva ed elaborata della propria coscienza, andando oltre la mera percezione.
L’auto-coscienza impone un ulteriore livello di conoscenza di sé come individuo unico e distinto dagli altri.
Infine, la meta-coscienza costituisce il livello più evoluto, permettendo di osservare i propri processi mentali e cognitivi, auto-regolandoli e modificandoli.
Ora abbiamo delimitato ben benino il perimetro della consapevolezza. Essa è caratterizzata dalla rappresentazione interna di sé nel proprio ambiente, in modo da poter progettare comportamenti secondo intenzione.
A questo punto possiamo tentare una risposta al quesito iniziale. Cosa accresce la propria consapevolezza o aiuta qualcun altro ad accrescerla?
Siccome si passa per una rappresentazione interna e per una progettualità, possiamo stabilire le qualità della consapevolezza:
coerenza: pensieri contraddittori sono sintomo che qualcosa ci sfugge;
completezza: se semplifichiamo troppo i ragionamenti, rischiamo di trascurare dettagli apparentemente irrilevanti ma con effetti sproporzionatamente importanti;
accuratezza: se ci accorgiamo che ciò che avevamo previsto non ha riscontro, anche su aspetti marginali, dobbiamo riflettere di più, meditare di più, ascoltare ed osservare di più;
aggiornamento: qualche volta l’ambiente interno o esterno cambia più velocemente di quanto immaginiamo e ci troviamo illusi.
Ecco infine alcune indicazioni ma sicuramente te ne vengono in mente molte altre:
[Suggerito da Paolo Mazzetto] Proprio per la complessità che caratterizza ogni essere umano, l’approccio empatico all’altro si coniuga necessariamente con un atteggiamento “umile”, in cui io mi muovo con sensibilità e circospezione in questo mondo complesso rappresentato dall’altro e, soprattutto nella relazione d’aiuto, lo affianco nell’esplorazione di sé per favorire una condizione di maggiore consapevolezza.
Praticare la meditazione. Anche una semplice meditazione di pochi minuti al giorno può aumentare la consapevolezza di sé e della propria mente. Può aiutare a rallentare i pensieri ed essere più presenti. La mindfulness è particolarmente efficace.
Fare autoesami. Porre domande su se stessi come: “Perché ho agito in quel modo?”, “Cosa mi ha spinto a dire quella cosa?” Può aiutare a comprendere meglio i propri comportamenti e motivazioni.
Osservare i propri pensieri. Prenditi un momento per osservare il flusso dei tuoi pensieri. Focalizza l’attenzione sui tuoi pensieri. Notare i pensieri che passano nella mente senza identificarsi con essi e senza giudicarli. Capisci da dove emergono e qual è il loro scopo. Può aiutare a prendere le distanze dai pensieri automatici.
Tenere un diario. Scrivere i propri pensieri ed emozioni può aiutare a comprenderli meglio e metterli in prospettiva.
Ascoltare gli altri. Ascoltare davvero gli altri in modo attivo e non giudicante può aumentare la consapevolezza della prospettiva altrui. Pratica l’ascolto attivo quando sei con gli altri. Concentrati interamente sull’altro, mettendo da parte i tuoi pensieri interni. Aiuta l’altra persona a sentirsi compresa.
Praticare la gratitudine. Prendersi del tempo per essere grati per le piccole cose della vita aumenta il senso di presenza e consapevolezza del momento.
Assumersi la responsabilità. Prendere la responsabilità delle proprie azioni ed emozioni, invece di incolpare gli altri o le circostanze, aumenta consapevolezza ed empowerment.
Diventa consapevole delle tue emozioni e sensazioni fisiche. Accoglile senza sopprimerle. Comprendi come emergono e in che modo influenzano il tuo modo di pensare e di agire.
Impara dai tuoi errori. Non rimproverarti, ma cerca di capire quali processi mentali ti hanno portato a compiere quella scelta e come migliorare in futuro.
Rivedi le tue abitudini e creane di nuove, più consapevoli. Ad esempio, mentre ti lavi i denti osserva i tuoi pensieri, oppure mangia stando interamente focalizzato sul cibo.
Parla apertamente di consapevolezza con gli altri. Condividere le nostre esperienze aiuta sia noi che gli altri ad approfondirle.
Leggi libri e materiali che ti aiutino a sviluppare la tua consapevolezza.
Suggerimenti ed attenzioni sull’uso di indicatori di crisi in sistemi complessi. L’importanza di non farsi stravolgere spiritualmente dalla malattia per favorire la guarigione.
Disequilibri, Crisi e Catastrofi
Sistemi complessi come quelli viventi sono sempre sull’orlo dell’equilibrio: per rimanere simili a se stessi, cambiano continuamente un pochino.
Ogni boccone di cibo metabolizzato, ogni respiro, ogni percezione sensoriale, ogni comunicazione… tutto ciò che entra, viene elaborato e produce impercettibili cambiamenti. Lo stesso vale per ciò che esce dal sistema, basti pensare alle cellule che muoiono (ne abbiamo tipi con ciclo di vita di pochi giorni ed altre che durano tutta la vita, in media 10-15 anni).
Ad ognuno di questi piccoli cambiamenti corrispondono catene di eventi interni al sistema, con intrecci ed anelli retroattivi, in cui l’effetto complessivo delle retroazioni è di smorzare gli effetti dell’innesco iniziale. Per esempio, l’impulso a mangiare viene meno proprio mangiando. Questo tende a riportare il sistema al suo equilibrio.
Cosa succederebbe, invece, se ci fossero retroazioni positive cioè di rinforzo anziché di inibizione? Come si dice, “la fame vien mangiando”! Un cambiamento che porta il sistema lontano dal proprio equilibrio è un disturbo e, se non viene in qualche modo frenato, diventa malattia. Ancora, se la crisi diventa insostenibile si può arrivare alla catastrofe, che porta ad un cambiamento irreversibile del sistema.
Indicatori di crisi a vari livelli
Quando si analizza una catastrofe in un sistema complesso, è importante porsi da diversi punti di vista e con diversi livelli di analisi, che vanno dal più analitico al più sintetico, dal materiale al trascendente, dal subatomico al cosmico.
Per comprendere appieno una catastrofe, è necessario analizzare le dinamiche e le interazioni tra i diversi componenti del sistema. Ciò può coinvolgere l’analisi a livello microscopico o analitico dei componenti specifici del sistema, nonché l’analisi a livello macroscopico o sintetico delle proprietà emergenti del sistema nel suo complesso.
In ciascun livello si possono definire degli indicatori di crisi, alcuni dei quali misurabili strumentalmente o con criteri oggettivi, altri determinabili solo come stima o addirittura solo ipotizzabili.
Ad esempio, nell’ambito di una crisi economica, potrebbero essere considerati indicatori microeconomici come la disoccupazione, l’inflazione o il tasso di fallimento delle imprese, nonché indicatori macroeconomici come il PIL, il debito pubblico o l’andamento del mercato azionario.
In ambito psicologico, possiamo porci su tre livelli usando:
misurazioni fisiologiche;
questionari e test psicometrici;
osservazioni comportamentali.
Se invece ci occupiamo di politica locale:
Livello socioeconomico, indicatori di disuguaglianza economica: divario tra ricchezza e povertà, distribuzione del reddito, il tasso di disoccupazione, l’accesso ai servizi di base e l’insicurezza alimentare.
Livello ambientale, indicatori di sostenibilità ambientale: la qualità dell’aria e dell’acqua, la gestione dei rifiuti, la conservazione delle risorse naturali, l’adattamento ai cambiamenti climatici e l’impatto delle attività umane sull’ecosistema locale.
Livello sociale, indicatori di coesione sociale: l’incidenza di conflitti sociali, la segregazione o discriminazione, l’isolamento sociale, la violenza, il degrado urbano e il deterioramento delle relazioni comunitarie.
Livello politico, indicatori di stabilità politica: la polarizzazione politica, la corruzione, la mancanza di partecipazione democratica, la perdita di fiducia nelle istituzioni pubbliche e il deterioramento dello stato di diritto.
Esiste una relazione tra gli indicatori di crisi misurati a livelli diversi, poiché i diversi livelli di un sistema complesso sono interconnessi e influenzano reciprocamente.
La relazione tra gli indicatori di crisi misurati a livelli diversi può essere complessa e dipende dal contesto specifico. In alcuni casi, gli indicatori a livello microscopico possono essere considerati sintomi o segnali precoci di una crisi a livello macroscopico. Ad esempio, un aumento dei tassi di fallimento delle imprese può essere un segnale precoce di una recessione economica imminente.
Allo stesso tempo, gli indicatori a livello macroscopico possono influenzare i componenti a livello microscopico del sistema. Ad esempio, le politiche macroeconomiche adottate dal governo possono influire sulle decisioni aziendali e sulle opportunità di lavoro a livello microscopico.
L’analisi a vari livelli consente di ottenere una visione più completa e approfondita della catastrofe in un sistema complesso. L’interazione tra gli indicatori di crisi a livelli diversi può fornire informazioni utili per comprendere le cause, le dinamiche e gli effetti di una catastrofe e può essere utile per sviluppare strategie di mitigazione o di risposta.
Malattia e Guarigione
Tutti noi sperimentiamo in prima persona piccole e grandi catastrofi in modo molto diretto e personale: le malattie.
Indicatori di crisi:
livello materiale/fisico, crisi fisica: sintomi o segni evidenti come dolore cronico, perdita di peso non intenzionale, affaticamento persistente, febbre alta, disabilità fisica o ferite gravi;
livello emotivo/psicologico, crisi emotiva: ansia eccessiva, depressione persistente, attacchi di panico, sentimenti di disperazione, pensieri suicidi, perdita di interesse per le attività quotidiane o difficoltà di regolazione emotiva;
livello sociale/relazionale, crisi sociale: rottura o la disfunzione delle relazioni interpersonali, il senso di isolamento sociale, la mancanza di supporto sociale, la violenza domestica, il bullismo o la discriminazione;
livello spirituale/trascendente, crisi spirituale: mancanza di senso di scopo o significato nella vita, conflitti spirituali interni, perdita di fede o senso di connessione spirituale, disorientamento esistenziale o crisi di valori.
Viceversa, può capitare di arrivare alla sofferenza fisica a partire da una crisi spirituale.
Stress e risposta fisiologica: una crisi spirituale che coinvolge conflitti interni, dubbi o la ricerca di senso può innescare una risposta di stress nel corpo. Il corpo può reagire a questo stress con sintomi fisiologici come aumento della frequenza cardiaca, tensione muscolare, disturbi del sonno, cambiamenti nell’appetito o problemi gastrointestinali.
Impatto sull’equilibrio emotivo: una crisi spirituale che provoca sentimenti di disorientamento, vuoto o disconnessione può contribuire allo sviluppo di disturbi dell’umore come l’ansia o la depressione, che, a loro volta, possono avere conseguenze fisiche, come affaticamento, disturbi del sonno o problemi di salute correlati.
Coping e stili di vita: alcune persone potrebbero cercare modi inadeguati per far fronte alla crisi, come l’abuso di sostanze o comportamenti di evitamento, che aumentano il rischio di malattie o condizioni associate all’abuso di sostanze o all’autolesionismo.
Al contrario, la ricerca di significato e la resilienza spirituale possono anche promuovere il benessere fisico. La fede, la spiritualità e le pratiche di cura di sé possono essere risorse preziose per affrontare lo stress, migliorare l’adattamento e favorire stili di vita sani, come l’attività fisica regolare, una buona alimentazione e il riposo adeguato.
Alcuni studi epidemiologici sulle cosiddette zone blu come Ogliastra in Sardegna e Okinawa in Giappone hanno esaminato le abitudini delle popolazioni locali ed hanno evidenziato che queste comunità mostrano livelli significativamente più elevati di longevità rispetto ad altre parti del mondo. Tra le varie abitudini di vita associate a queste popolazioni, la pratica di forme di meditazione, preghiera o di partecipazione a rituali spirituali è del loro stile di vita. Se ancora non sei convinto, considera la storia della Mindfulness ed protocollo medico MBSR.
Nella mia esperienza di vita, sbagliando in prima persona o partecipando alle vicende dei miei cari, ho imparato un paio di cosette che possono essere lette con la lente del paradigma della complessità.
È capitato anche a te? Gli indicatori di crisi della mia salute, pur essendo “in presa diretta” cioè direttamente accessibili alla mia coscienza , mi è capitato di collocare mentalmente la crisi a livello sbagliato, finché non è diventata intensa. Per esempio, attribuivo uno stato emotivo negativo persistente ad un cambiamento in ambito lavorativo ed invece la vera causa stava in un problema auto-immunitario! Quando i sintomi sono emersi anche sulla pelle, non ho potuto non accorgermi di aver fatto un grosso errore di valutazione. Rendersene conto è stato un pochino umiliante ma anche liberatorio.
La prima lezione che ho imparato è che devo riflettere, meditare, avere pazienza ed articolare un’analisi multilivello… su me stesso!
La seconda è che si possono davvero disperdere molte energie e per molto tempo, usando risorse sbagliate nel tentativo di guarire.
È possibile che la guarigione inizi ad un livello diverso da quello in cui la crisi è emersa. I sistemi complessi, inclusi quelli che riguardano la salute e il benessere umano, sono caratterizzati da molteplici interazioni e influenze reciproche tra i vari livelli e sottosistemi.
Quando una crisi si verifica a un certo livello, può innescare una serie di cambiamenti e adattamenti in tutto il sistema. Questi cambiamenti possono coinvolgere sia il livello in cui la crisi è emersa che i livelli circostanti. Inoltre, le risposte e le risorse disponibili per affrontare la crisi possono variare tra i diversi livelli del sistema.
Di conseguenza, la guarigione e il recupero possono iniziare a un livello diverso da quello in cui si è verificata la crisi iniziale. Ad esempio, una crisi emotiva o psicologica può avere un impatto sul livello sociale e relazionale di una persona, portando a un deterioramento delle relazioni interpersonali. In tal caso, la guarigione potrebbe richiedere un lavoro sui legami sociali, sulla comunicazione e sulla costruzione di nuove relazioni, anche se la crisi iniziale era di natura emotiva.
Inoltre, l’affrontare la crisi a un livello può anche influenzare gli altri livelli del sistema. Ad esempio, lavorare sulla guarigione fisica attraverso un trattamento medico appropriato può avere un impatto positivo sull’aspetto emotivo o psicologico di una persona.
È importante considerare la complessità dei sistemi umani e riconoscere che le interazioni tra i diversi livelli possono giocare un ruolo significativo nella guarigione e nel recupero. Un approccio complessivo che tiene conto di tutti i livelli e dei loro rapporti reciproci può essere utile nel promuovere la guarigione e il benessere complessivo della persona.
Spiritualità per la Guarigione
Vorrei concludere condividendo quanto mi abbia colpito la testimonianza di un collega, resa nell’ambito di un ciclo di seminari organizzati dal team ORA – Orientamento Relazione Ascolto in tema di sostenibilità.
La malattia grave di una persona è in relazione con il fluire degli eventi della sua rete di affetti, è una crisi che scatena catene di eventi che formano intrecci ed anelli di retroazioni. La crisi può essere così intensa da impattare sulla struttura della propria rete sociale: qualche amico caro si allontana incapace di affrontare la sofferenza (non è così facile distinguere tra la propria e quella dei propri cari), qualcun altro sorprende per la costante vicinanza.
Quando si è in balia di medici e medicine per mantenere la propria vita materiale, si può comunque mantenere il controllo. La cosa interessante è che lo si può fare in modo “proporzionale all’altezza del livello”. In parole povere, se considero i livelli della mia esistenza a partire dal livello materiale e salgo gradualmente fino al livello spirituale, a mano a mano che soffermo nei vari piani, mi accorgo che la possibilità di controllare ciò che accade piano per piano è in aumento. Giunto ai piani del trascendente, mi accorgo capace di fare ancora molte cose, di poter gestire molta parte del mio percorso spirituale.
In queste situazioni è naturale e di buon senso dar fondo a tutte le risorse di guarigione, a tutti i livelli. Ma allora… se mi hai seguito fin qui, ti sarà allora chiaro perché è così importante agire a livello spirituale quando la malattia fisica è grave.
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