• La complessità è nell’osservato o nell’osservatore?

    La complessità è nell’osservato o nell’osservatore?

    [Tempo di lettura: 6 minuti]

    Un sistema è complesso perché lo è intrinsecamente o perché viene considerato tale, piuttosto che semplificarlo?

    A cena, una persona, che chiamiamo Cesca, mi indica un porta bustine da bar e dice: “Ecco! Vedi? Questo sistema è semplice!”. Io obietto: “Dipende…”. Ed inizia una discussione animata, interrotta solo perché si è fatto tardi, lasciando entrambi i contendenti con il senso dell’incompiutezza. Secondo te, stimato lettore, un tale oggetto è o no un sistema complesso? È stato un azzardo, da parte mia, rispondere in modo dubitativo?

    Per chiarire i termini della contesa, innanzitutto riflettiamo su alcuni concetti. Cominciamo con la parola: “intrinseco“.

    “Intrinseco” significa che qualcosa è inerente o essenziale alla natura di una cosa, col sovrappiù che si tratti di una caratteristica fondamentale, non qualcosa di aggiunto o superficiale.

    • Il colore rosso di una fragola matura è intrinseco alla fragola matura stessa. Non è qualcosa che puoi togliere senza cambiare la natura della fragola matura.
    • La capacità di pensare è intrinseca agli esseri umani. Non è qualcosa che impariamo, ma fa parte di ciò che siamo.
    • La dolcezza è intrinseca allo zucchero. Non è un attributo che gli viene dato, ma una sua qualità fondamentale.
    • In economia, si parla di valore intrinseco di un bene, ovvero il suo valore reale, basato sulle sue caratteristiche e non sul prezzo di mercato.
    • Il desiderio di fare qualcosa per il piacere di farla, non per una ricompensa esterna è la motivazione intrinseca. La passione per la musica è una motivazione intrinseca a suonare uno strumento.

    Un’altra parola chiave è: “oggettivo“. Siccome noi conosciamo per esperienza diretta o indiretta, una caratteristica di un oggetto o un fatto sono oggettivi se chiunque li può percepire allo stesso modo o, in altri termini, se non dipendono dal soggetto. È difficile immaginare caratteristiche intrinseche non oggettive. L’unico modo che mi viene in mente è qualcosa che sia strettamente legato al contesto. Per esempio, la “fragilità” di un bicchiere è intrinseca al vetro di cui è fatto, ma si manifesta solo in determinate condizioni (ad esempio, se cade a terra). In questo senso, la fragilità potrebbe essere vista come una proprietà intrinseca ma non completamente oggettiva, perché la sua manifestazione dipende dal contesto. Viceversa, è facile trovare caratteristiche oggettive non intrinseche: la posizione di un libro in uno scaffale, il colore di una mela, l’altezza di una persona.

    C’è infine un termine intermedio tra oggettivo ed intrinseco: inerente. Tutto ciò che è intrinseco è inerente ma non vale il viceversa. Per esempio, la capacità di volare degli uccelli è inerente ma non tutti gli uccelli volano e quindi non si può dire che si tratti di una caratteristica intrinseca. Infatti, un uccello con un’ala rotta resta sempre un uccello; inoltre ci sono uccelli come le galline che non volano.

    La complessità è oggettiva, inerente o intrinseca? O nessuna delle tre cose?

    Secondo me, la stessa porzione di realtà percepita può essere considerata contemporaneamente in tanti modi differenti, coerenti tra loro, ma con diverso grado di complessità, tanto che si può considerare complessa, complicata o semplice. Dunque tutto dipende dal punto di vista.

    Questo presuppone la distinzione tra sistema e porzione di realtà percepita corrispondente. Il concetto di “sistema” abita su un piano dell’esistenza più elevato rispetto a quello di “porzione di realtà”.

    Il porta bustine si veste dell’aura del sistema complesso se lo consideriamo microhabitat per milioni di microorganismi. Non c’è modo di ricondurre il funzionamento complessivo a quello delle bustine o dei singoli micro-organismi: ci sono delle proprietà emergenti. Per esempio, l’effetto sulle caratteristiche organolettiche dello zucchero nel caso in cui il barista lasci troppo tempo in pace il microhabitat, libero di evolversi.

    La mentalizzazione: una porzione di realtà viene riportata nella mente di una persona passando per i sensi ed il filtro delle proprie esperienze.

    Il porta-bustine può essere considerato un sistema complicato e non complesso se lo si osserva dal punto di vista della fisica dinamica, per la quale ciò che conta sono forze, forme, attriti etc:

    • Non è “semplice” perché le interazioni tra le bustine, anche se semplificate, possono generare comportamenti non banali.
    • Non è “complesso” perché le interazioni sono comunque lineari e prevedibili, e non si osservano comportamenti emergenti.

    Infine si può dire che è un sistema semplice, nel momento in cui ci basta descriverlo in termini di:

    • dimensioni del contenitore: lunghezza, larghezza e altezza.
    • dimensioni delle bustine: lato del cubo;
    • numero di bustine: quanti cubi sono presenti;
    • disposizione: come sono disposti i cubi (ad esempio, in file ordinate).

    Ora, se Cesca, parlando con me, indica il porta bustine ed asserisce che è un sistema semplice, io interpreto così ciò che sta accadendo: Cesca indica una porzione di realtà che lei percepisce e, implicitamente, fa intendere un modo di schematizzarla – quello semplice.

    Tra le tante schematizzazioni possibili, quando non si dice esplicitamente quale va utilizzata, si sottintende sempre che è la più semplice possibile, in conformità al principio noto come Rasoio di Occam.

    Con questo abbiamo risolto la diatriba! In effetti, Cesca ed io abbiamo entrambi ragione e tra noi non c’è conflitto, bensì solo bisogno di un po’ di dialogo perché ciascuno possa compiutamente esprimere ciò che pensa.

    A ben vedere, abbiamo anche implicitamente assunto un principio ontologico ed identificato un bias che si presenta nella vita quotidiana.

    Il principio ontologico sancisce che una porzione di realtà può essere interpretata schematizzandola in molteplici modi possibili, a seconda del punto di vista.

    Tra i punti di vista c’è però un legame. Matematicamente, diremmo che l’insieme dei punti di vista è organizzato, strutturato in qualche modo. Come? Direi con una mappa. Deve trattarsi di una mappa che rispetta abbastanza i flussi e le connessioni tollerando incoerenze locali, come avviene nel ragionamento ipotetico. Cerco di spiegarmi meglio.

    Siano PdV1 e PdV2 due punti di vista. Per esempio, potremmo osservare lo stesso lago da due diverse posizioni della riva. Oppure potremmo usare un punto di vista a riva e l’altro portandoci in acqua o, ancora, usare un drone e portarci alcuni metri sopra il lago. Da solo non potrei farlo contemporaneamente: o siamo in due o son da solo e mi sposto. In entrambi i casi, il confronto tra le immagini ottenute da PdV1 e PdV2 dà luogo ad una mappa, non nel senso geografico del termine, piuttosto un’associazione in cui alcuni dettagli verranno identificati come appartenenti allo stesso elemento paesaggistico pur essendo in due immagini differenti. Se anziché scattare istantanee, registriamo video, potremmo per esempio riconoscere il movimento dello stesso uccello o pesce nei due video. Va da sé che potremmo avere dei dubbi sulla mappatura di alcuni elementi. Se capita per esempio che si muovano tanti pesci simili insieme, potrebbe risultare davvero difficile identificare i pesci corrispondenti nei due video.

    Potremmo definire come verità assoluta la mappatura di un flusso in tutti i punti di vista: se si riesce a costruirla, allora abbiamo trovato un dato oggettivo, una caratteristica inerente, una proprietà intrinseca. Se invece la mappatura non è definita in tutti i punti di vista, il dato non è intrinseco e potrebbe non essere neppure inerente o addirittura risultare soggettivo.

    Ti piacciono i gialli investigativi? O gli episodi di serie di fantascienza in cui si esplorano le implicazioni di un superpotere o di un’innovazione futuristica? Fai parte di associazioni o organi collegiali o gruppi di consulenti? Se rispondi si almeno una volta allora ti invito a declinare la mappatura di alcune presunte verità attingendo da quanti più punti di vista possibile e più disparati che puoi. Sicuramente – non ho alcun dubbio – rimarrai sorpreso dell’esito.

    Angolature e strumenti differenti consentono di cogliere dati oggettivi, tra i quali trovare proprietà inerenti e caratteristiche intrinseche.

    Per concludere, resta la questione del bias. Quando ho accennato al Rasoio di Occam, ho fatto riferimento alla “schematizzazione più semplice possibile”. Questa locuzione è però intrinsecamente ingannevole: possono esserci più schematizzazioni con la stessa semplicità. Et voilà! L’equivoco è servito! “Equivoco” deriva dal latino “aequivocus“, che significa “con uguale voce” e indica una parola o un’espressione che può avere più significati. Una persona indica una porzione di realtà, mentalmente la schematizza nel modo che gli sembra più semplice e, quindi, ovvio ma non fa caso al fatto che ci possano essere alternative altrettanto (più o meno) semplici. A schematizzazioni differenti corrispondono forme di flusso di pensiero differenti. Piccole differenze possono risultare trascurabili o, viceversa, venire amplificate in modo non lineare fino alla catastrofe, che poi sarebbe l’incomprensione, il disguido, il conflitto.


    Le immagini sono foto scattate da Nicola Granà o create da Nicola Granà con Midjourney.

  • Consulenza e Progetti di Cambiamento per Sistemi Complessi

    Consulenza e Progetti di Cambiamento per Sistemi Complessi

    [Tempo di lettura: 2 minuti]

    Il Consulente è una figura professionale che, in generale, fornisce consigli e suggerimenti su come affrontare problemi o situazioni complesse. La consulenza può riguardare diversi ambiti: legale, fiscale, finanziario, aziendale, informatico, psicologico, medico\ldots{}

    C’è una stretta relazione tra Consulenza e Cambiamento. Il consulente, infatti, è spesso chiamato a supportare il cliente in un momento di cambiamento, che sia esso organizzativo, tecnologico, personale, sociale\ldots{} Il cambiamento è un fenomeno complesso, che coinvolge molteplici aspetti e variabili.

    Il Cambiamento è un lavoro, è consumo di energia per portare il sistema da una configurazione ad un’altra. Il Cambiamento è un processo, è un flusso di eventi che si susseguono nel tempo. Il Cambiamento è un’opportunità ed una minaccia: è la possibilità di migliorare, di crescere, di evolvere ed è la possibilità di peggiorare, di involvere, di degenerare.

    Un sistema, ad un certo momento della sua evoluzione, ha una configurazione. Un progetto di cambiamento serve per portare velocemente lo stesso sistema ad una nuova configurazione, consumando energia per il lavoro di trasformazione.

    Video di zbswdzh hao da Pixabay

    Si comincia mappando la configurazione attuale e prefigurando la configurazione finale desiderata. Talvolta, si definiscono configurazioni intermedie.

    Non tutte le componenti della configurazione varieranno con la stessa probabilità: alcune sono più controllabili, altre possono essere solo influenzate o addirittura autonome e non influenzabili (es. le condizioni climatiche in cui opera un’azienda agricola). Accade anche che la configurazione finale venga cambiata in corso d’opera perché il processo di cambiamento retroagisce su chi l’ha voluto e stabilito.

    Ci possono essere delle connessioni tra le componenti delle configurazioni sicché esse possono co-variare ed i flussi del loro cambiamento possono influenzarsi reciprocamente. Le componenti più controllate e quelle autonome ci aiutano a semplificare il modello predittivo: per le prime, abbiamo maggiore comprensione di come co-variano, per le seconde abbiamo interazioni solo in un verso: azioni da componenti autonome alle altre da esse influenzate.

    A mano a mano che il sistema si evolve ed il progetto di cambiamento procede, i fenomeni previsti accadono o non accadono, aumentando la conoscenza del sistema e consentendoci di rendere più nitida la configurazione finale attesa. Possiamo revisionare la mappatura delle configurazione in vari momenti, ottenendo ciò che si chiama uno Stato di Avanzamento dei Lavori. Oltre alla configurazioni iniziale, precedente, attuale e prevista, esso comprende il flusso degli eventi e l’uso delle risorse. In questo modo abbiamo sia un concetto di quadratura, cioè di coerenza tra

    • variazione tra due configurazioni del sistema;
    • flusso di azioni eseguite sul sistema ed altri eventi accaduti indipendentemente dal progetto di cambiamento;

    sia la possibilità di analizzare le discrepanze tra configurazione attuale e configurazione obiettivo.

    Foto di THỌ VƯƠNG HỒNG da Pixabay

    Prossimamente entrerò nel dettaglio dell’informatizzazione della gestione dei progetti di cambiamento secondo lo schema concettuale qui succintamente presentato. Vedi:


    Immagine di copertina di Gerd Altmann da Pixabay

  • Che differenza c’è tra insieme e flusso?

    Che differenza c’è tra insieme e flusso?

    [Tempo di lettura: 12 minuti]

    Insieme e flusso sono due concetti fondamentali nel nostro pensiero astratto. Sono simili ma differenti. Uno dei due è stato posto a fondamento della matematica. Che succederebbe se lo sostituissimo con l’altro? Considera che l’intero edificio della matematica poggia su una manciata di postulati riguardanti il concetto di insieme: meno di una decina! Dunque, piccole variazioni della loro formulazione possono scatenare effetti a valanga. Cosa succederebbe se, addirittura, sostituissimo il concetto di insieme con quello, più generale, di flusso? Senza entrare troppo a fondo nei tecnicismi, proviamo insieme ad immaginare qualche tratto di un universo (matematico) alternativo.

    Il concetto di flusso è più generale di quello di insieme

    È piuttosto facile capire che ogni insieme è un flusso in cui il tempo è idealmente congelato ad un certo istante ed in cui ogni elemento è identificabile. Lo è persino la radice quadrata di due, nell’insieme dei numeri reali, visto che esiste un modo per calcolare le sue cifre decimali fino alla precisione desiderata. Oppure, per fare un esempio su un piano della realtà gestibile dai nostri sensi, immaginiamo di enumerare ad una ad una le auto che passano sotto il ponte in cui ci troviamo.

    Viceversa, non tutti i flussi sono insiemi. Non sempre è possibile immaginare o rappresentare informaticamente la configurazione di un flusso ad un certo istante. Si pensi ad un flusso di cariche elettriche: troppo veloce e sfuggente per qualunque strumento di misura. Se il ponte dell’esempio precedente è molto alto e se il traffico è molto intenso allora potrebbe essere difficile osservare le auto individualmente, distintamente; ed il flusso automobilistico non potrebbe più essere considerato un insieme.

    Vediamo ora come i due concetti siano differenti.

    La differenza tra insieme e flusso, da 6 punti di vista

    Molto schematicamente, ecco 6 punti di vista dai quali evidenziare le differenze.

    • Punto di vista ontologico: non è scontato poter individuare gli elementi singoli che compongono un flusso, a differenza di quanto avviene in genere per un insieme.
    • Punto di vista cognitivo: il cervello tende a categorizzare gli elementi di un insieme in maniera distinta e rigida, mentre percepisce un flusso in modo più elastico e integrato.
    • Punto di vista del trattamento delle informazioni: un insieme si presta meglio ad un’elaborazione analitica ed estrattiva delle singole parti, mentre un flusso richiede un approccio più sistemico e una comprensione delle dinamiche relazionali.
    • Punto di vista del trattamento delle conoscenze: un insieme favorisce una conoscenza frammentata ed enciclopedica, mentre un flusso si adatta maggiormente ad una visione interconnessa e in divenire.
    • Punto di vista temporale: l’insieme dà maggiore importanza al presente e al permanere degli elementi, mentre il flusso sottolinea il divenire e il cambiamento continuo nel tempo.
    • Prospettiva sistemica: l’insieme evidenzia le singole componenti, il flusso ricorda che fanno parte di un sistema aperto in trasformazione.

    Vediamo più in dettaglio che luce getta ciascun punto di vista sulla questione.

    La differenza ontologica tra flusso ed insieme

    Il punto di vista ontologico è il principale ma forse anche quello meno facile da capire.

    In un insieme, anche se composto da molti elementi, questi sono comunque individuabili e distinguibili uno ad uno.

    Nel flusso invece molto spesso è più difficile, se non impossibile, individuare le singole “particelle” che lo compongono, che si fondono e si mescolano in continuo movimento.

    Ad esempio, si riesce ad enumerare e contare gli elementi di una scatola di spilli, mentre è praticamente impossibile contare una ad una le molecole che compongono un flusso d’acqua corrente.

    Il flusso ha dunque una natura ontologicamente più “unitaria” e meno analiticamente divisibile rispetto all’insieme, dove gli elementi mantengono più nettamente la loro individualità.

    Ragionare e discorrere su un flusso è quindi diverso dal ragionare e discorrere su di un insieme perché nel primo caso si prendono in considerazione le interazioni col flusso mentre nel secondo caso le interazioni considerate sono primariamente quelle con gli elementi dell’insieme, mentre le interazioni con l’insieme sono fittizie, virtuali, scorciatoie logiche da cuore con attenzione. Per esempio, nei testi che trattano di istruzione degli adolescenti non si dovrebbe mai far riferimento all’adolescente medio, perché non esiste. Orientare un’azione educativa modulandola sull’adolescente medio può rivelarsi estremamente controproducente. Un simile approccio è utile in determinate circostanze e con determinate accortezze. Vedasi per esempio i buyer personas nel mondo del marketing.

    La differenza cognitiva tra insieme e flusso

    Il punto di vista cognitivo tocca aspetti legati alla percezione e al funzionamento della mente.

    • Insieme: il nostro cervello cataloga separatamente gli oggetti sul tavolo;
    • Flusso: la nostra mente percepisce in modo unitario il fluire di un fiume.

    In psicologia cognitiva, ci sono degli studi che hanno indagato le differenze nel modo in cui il cervello elabora concetti classificati come “insiemi” rispetto ai concetti legati ai “flussi”.

    Uno degli esperti che se n’è occupato è il neuroscienziato Douglas Hofstadter, noto per la sua opera “Godel, Escher, Bach”. Ha scritto anche Fluid Concepts and Creative Analogies, 1995. Hofstadter, nei capitoli 12 e 13 della prima delle due opere citate, analizza la distinzione tra “entità discretizzate” (corrispondenti agli insiemi) e “entità fluidificate” (simili ai flussi).

    Secondo Hofstadter, quando percepiamo degli oggetti separati, il cervello tende a categorizzarli rigidamente, creando confini netti. Mentre per i flussi usa schemi cognitivi più flessibili, che tengono conto delle interazioni dinamiche.

    Sono stati condotti studi di neuroimaging e psicologia cognitiva che esaminano le differenze nell’attivazione cerebrale tra la percezione di insiemi e flussi. Questi studi cercano di comprendere come il cervello elabora le informazioni in situazioni in cui le caratteristiche statiche degli insiemi differiscono dalle dinamiche dei flussi. Ecco alcuni esempi di tali studi:

    1. Elaborazione visiva: Ricerche sul campo della percezione visiva hanno esplorato come il cervello elabora insiemi di oggetti statici rispetto alla percezione di oggetti in movimento. Ad esempio, alcuni studi hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale o fMRI per identificare le aree cerebrali coinvolte nella percezione di insiemi di oggetti, come il riconoscimento di pattern o la lettura di scritte statiche, rispetto alla percezione di oggetti in movimento.
    2. Attenzione selettiva: La ricerca sull’attenzione selettiva ha esplorato come il cervello gestisce l’attenzione tra insiemi di oggetti e flussi di informazioni. Gli studi hanno utilizzato l’elettro-encefalogramma o EEG, fMRI e altre tecniche per esaminare come l’attivazione cerebrale varia a seconda che i partecipanti siano esposti a stimoli statici o dinamici, e come l’attenzione è focalizzata su elementi specifici all’interno di insiemi o flussi.
    3. Predizione e anticipazione: Alcuni studi hanno cercato di comprendere come il cervello anticipa gli eventi futuri in contesti di flussi di dati o informazioni in movimento. Questi studi hanno indagato l’attivazione cerebrale durante il processo di previsione e hanno utilizzato tecniche di imaging cerebrale per esaminare quali aree cerebrali sono coinvolte in queste attività.

    La differenza tra insieme e flusso nel trattamento delle informazioni

    Il computer è come un cervello elettronico: sia il computer sia il cervello svolgono funzioni cognitive ed elaborano informazioni. Le conoscenze possono essere intese come una sorta di distillato delle informazioni, il risultato del metabolismo delle informazioni, ciò che resta dopo aver analizzato le informazioni e collegate con conoscenze pregresse ed altre informazioni. Dati e fatti, senza una lettura organica, sono informazioni e non conoscenze. Vediamo, da questo punto di vista, come trattare informazioni inerenti insiemi sia diverso da trattare informazioni inerenti flussi.

    Nella teoria dell’informazione ci sono concetti e modelli che rispecchiano le differenze:

    • Un insieme di dati è spesso strutturato e categorizzato, ad esempio in una tabella database, permettendo analisi sulle singole feature/colonne.
    • Un flusso di dati è tipicamente non-strutturato e dinamico, come nei sistemi complessi. Richiede approcci di data mining più flessibili (es. machine learning) per comprenderne le relazioni.

    Tutto però parte dalla nostra mente. Noi elaboriamo informazione già alla fonte in modo diverso a seconda che abbiamo a che fare con insiemi o con flussi.

    • Insieme: analizziamo le diverse caratteristiche di ogni pianta nell’orto.
    • Flusso: osserviamo l’evoluzione nel tempo del traffico in città.

    A livello algoritmico, cioè di progettazione delle procedure di trattamento, non stupisce la necessità di ricorrere ad approcci dedicati e ben differenziati.

    Nei software, si usano database relazionali che trattano prevalentemente insiemi statici di record, mentre la data stream mining si occupa di flussi continui e di dati in divenire.

    Nell’ambito delle reti di telecomunicazione, i modelli di elaborazione a pacchetti separati si adattano a insiemi discreti di informazioni, mentre le simulazioni di flussi continui riguardano sistemi di comunicazione in tempo reale.

    Altro esempio è la compressione dati: gli algoritmi ad insiemi fissi sono ottimizzati su blocchi separati, mentre quelli a flussi trattano stream incomprimibili singolarmente.

    Le reti neurali artificiali si collocano in una posizione intermedia tra insiemi e flussi da un punto di vista del trattamento delle informazioni.

    Se non le conosci, ti basti sapere che si tratta di costrutti informatici che hanno un comportamento analogo, per alcuni aspetti, a quello delle reti di neuroni: i singoli neuroni interconnessi ricevono segnali, rappresentati da serie di numeri; elaborano i segnali in ingresso modulandoli con dei coefficienti di pesatura e producendo eventualmente un segnale in uscita se i segnali in ingresso raggiungono una certa soglia d’intensità minima. I coefficienti devono essere tarati prima di potersi aspettare un minimo di affidabilità. La taratura viene chiamata: addestramento o training. Il tipo di connessioni tra neuroni, cioè la topologia della rete, è qualificante e ne determina l’utilità a seconda dello scenario di utilizzo. Per esempio, se una rete neurale ha cortocircuiti allora si dice retroattiva ed ha capacità di auto-apprendimento.

    Da un lato, molti tipi di reti neurali vengono addestrate su insiemi statici di dati, come accade nell’apprendimento supervisionato, avvicinandosi al paradigma degli insiemi.

    Dall’altro lato però, una volta addestrate sono in grado di elaborare flussi continui di input, come nel deep learning online. In questo caso la loro natura si avvicina più a quella dei flussi.

    Inoltre, alcune classi di reti neurali come i recurrent neural network o i reservoir computing network (per esempio la Echo State Network) sono progettate proprio per catturare effetti di memoria e dinamiche temporali, tipiche dei flussi.

    Si può dunque dire che le reti neurali:

    • nella fase di addestramento si avvicinano agli insiemi discreti di dati;
    • una volta addestrate sono in grado di gestire flussi continui di informazioni in ingresso;
    • alcuni tipi sono più “fluidificate”, particolarmente adatte proprio a contesti di flusso.

    Questa considerazione apre ad una riflessione potenzialmente interessante: caratterizzare costrutti informatici che, come le reti neurali, non sono pienamente comprensibili se li si guarda solo dal punto di vista algoritmico. Ci sono altri due esempi interessanti da questo punto di vista: gli algoritmi genetici ed una mia piccola giocosa invenzione che potremmo chiamare: “algoritmi con memoria“.

    La differenza epistemologica tra insieme e flusso

    Dal punto di vista epistemologico, un approccio classico al trattamento della conoscenza da parte dell’uomo è l’enciclopedismo, che si basa sulla catalogazione analitica di sapere predefinito in categorie statiche. Questo riflette il paradigma degli “insiemi” di conoscenza ed è caratterizzato da grande stabilità.

    Uno studioso che, invece, si è occupato invece dell’acquisizione dinamica e relazionale della conoscenza è Gilbert Simondon, con i concetti di “individuazione” e “realtà preindividuale”. Per Simondon la conoscenza emerge da un campo di tensioni in continuo divenire. Si tratta evidentemente di un approccio più vicino al concetto di flusso.

    Anche la teoria dell’apprendimento complesso di Edgar Morin considera il sapere come proprietà emergente di sistemi aperti in transizione, lontano dalla logica dell’insieme di parti.

    Per entrambi, il focus è evidentemente spostato dall’individuo, dall’oggetto in sé dello studio, alla relazione.

    Questi diversi approcci epistemologici hanno riflesso a livello pratico e toccano uno dei temi più in voga in questo momento: alludo all’Intelligenza Artificiale. L’epistemologia fornisce una visione critica su come rappresentare, organizzare e far “apprendere” la conoscenza alle macchine e può stimolare lo sviluppo di tecnologie cognitive più aderenti alla reale natura del sapere.

    In ambito ingegneristico, l’intelligenza artificiale tradizionale implementa conoscenza formale e rigida, più simile agli insiemi. L’IA connessionista si avvicina di più ai flussi per la capacità di auto-organizzazione.

    La differenza tra insieme e flusso nella prospettiva temporale

    Il fattore tempo è cruciale nel distinguere tra l’approccio insiemistico e quello basato su flussi. Nel primo, il tempo è una dimensione, un aspetto. Nel secondo è parte integrante della rappresentazione, del modello mentale o informatico.

    Ecco una serie di esempi che chiarisce bene la differenza:

    • Fisica: la meccanica classica si basa su concetti statici/insiemi, la meccanica quantistica introduce il flusso temporale di probabilità.
    • Biologia: la fotografia coglie l’istante, lo studio dei processi evolutivi cattura il flusso di mutamento.
    • Storia: le epoche sono insiemi fissi, i processi storici sono le dinamiche che le attraversano.
    • Psicologia: i test misurano “stati”, la terapia segue l’evoluzione nel tempo.
    • Cinema: i fotogrammi sono insiemi di oggetti e persone, la pellicola in movimento riproduce un flusso di eventi.
    • Musica: la nota è qualcosa di fissato, l’esecuzione melodica è fluire di tempo ed intensità.
    • Narrativa: i capitoli possono esser visti come contenitori di persone e di eventi, la trama come flusso sequenziale.
    • Filosofia: l’ontologia si basa su entità, il divenire tratteggiato da Eraclito è flusso.

    Dove il discorso logico vacilla, la poesia ci aiuta ad oltrepassare i limiti del linguaggio, che si fanno angusti.

    Leopardi ha rappresentato la natura del tempo ne “L’infinito”:

    Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
    e questa siepe, che da tanta parte
    dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

    La differenza tra insieme e flusso nella prospettiva sistemica

    La teoria dei sistemi complessi fornisce un solido fondamento per leggere gli ecosistemi come manifestazione concreta del paradigma del flusso. Le griglie concettuali basate sugli insiemi, viceversa, portano alla perdita di complessità in quanto riducono il tutto alla somma delle parti.

    • Insieme: classifichiamo le specie animali della foresta, oppure i vari organi e tessuti che compongono il corpo umano o, ancora suddividiamo una comunità in categorie come ceti, professioni e gruppi formali;
    • flusso: osserviamo le interdipendenze ecologiche in atto, le interazioni dinamiche e gli scambi metabolici tra tessuti ed organi, i processi di identificazione nelle comunità e le evoluzioni delle reti di relazioni sociali.

    Dal punto di vista della teoria dei sistemi, gli ecosistemi naturali sono considerati prototipi di sistemi aperti e complessi in continua evoluzione.

    Uno studio pionieristico in questo senso è stato condotto da Eugene Odum negli anni ’50, introducendo il concetto di successioni ecologiche per descrivere il fluire dinamico delle interazioni all’interno degli ecosistemi nel tempo.

    Successivi lavori di Prigogine mostrano come i sistemi naturali abbiano proprietà emergenti a livello macroscopico che non possono essere ridotte alla somma delle singole parti.

    Gli ecosistemi dunque si prestano come esempio calzante di sistema profondamente integrato: sebbene possano essere analizzati gli elementi costitutivi in un dato istante, questo non è sufficiente per comprenderli nell’insieme.

    Al contrario, la classificazione delinea categorie statiche di elementi, riflesso dell’approccio tipico dell’insieme. Questo va bene quando abbiamo il pieno controllo del sistema osservato, i legami causali sono identificabili e le interazioni sono misurabili. È come dire che abbiamo piena conoscenza, istante per istante, di ciascuno degli elementi dell’insieme corrispondente al sistema in esame. Avere un metodo di enumerazione consente di gestire, di redigere check-list, di calcolare in modo ottimizzato, di contabilizzare…

    Dal punto di vista sistemico, è possibile comunque concepire un approccio basato sugli insiemi, che metta in evidenza:

    • la classificazione delle componenti di un sistema in categorie distinte e separate;
    • l’analisi delle proprietà e delle funzioni di ciascuna componente considerata individualmente;
    • la decomposizione gerarchica del sistema in sottosistemi e parti sempre più elementari;
    • la comprensione del sistema attraverso lo studio analitico delle interazioni fra gli insiemi costitutivi.

    Dunque, focalizzando un aspetto alla volta, un approccio analitico basato sull’insiemistica può portare ad un’ampia conoscenza del sistema studiato. Il suo limite è di lasciare implicita la conoscenza profonda, di non considerare correlazioni e legami causali inespressi. Il rischio è quello di illudersi di avere il controllo, fornendo spiegazioni, a volte persino auto-coerenti, da singoli punti di vista, come se ciascuno di essi fosse l’unico possibile e contenesse tutte le certezze necessarie.

    La scienza ci ha insegnato che esistono entità intrinsecamente probabilistiche e sistemi che non possiamo descrivere compiutamente in modo auto-coerente, come sancito dal teorema di incompletezza di Gödel. Dobbiamo accettare che in ogni sistema complesso c’è un incomprimibile quanto di mistero…

    Fantamatematica

    L’edificio matematico si fonda sulla teoria assiomatica di Zermelo Fraenkel. Si tratta di 7 – 8 assiomi… poca roba… Eppure reggono un peso enorme: algebra, geometria, topologia, teoria dei numeri, teoria delle probabilità, calcolo, combinatoria e analisi.

    La teoria degli insiemi può essere vista come un caso particolare di una teoria matematica più generale basata sui flussi. Alcuni punti che avvalorano questa visione: i flussi…

    • …permettono di cogliere aspetti qualitativi e non solo quantitativi dei sistemi;
    • …consentono di formulare concetti matematici anche per realtà non discretizzabili come curve e campi;
    • …risultano più aderenti a sistemi dinamici e stocastici della fisica e altro.

    Il lavoro da farsi è considerevole: andrebbero generalizzati concetti come funzione, limite, derivata da oggetti fissi a flussi continui.

    Questo però potrebbe aprire nuove prospettive per estendere ulteriormente la matematizzazione a sistemi non coerenti con l’ottica insiemistica tradizionale.

    Anche la Scienza dell’informazione trarrebbe giovamento dall’uso dei flussi. Le fondamenta della teoria classica, sviluppata da Shannon, sono insiemistiche ma tale teoria incorpora già nelle origini alcuni aspetti da flussi. Shannon stesso si rese conto che nella comunicazione reale i segnali sono flussi continui nel tempo e nello spazio. Introdusse quindi nozioni di derivate, integrali e variabili casuali continue. Le evoluzioni più recenti enfatizzano ulteriormente questa componente dinamica e continua. Teorie successive, come quella dell’informazione computazionale e dell’informazione quantistica, hanno ulteriormente spostato l’attenzione sui flussi. In ingegneria delle telecomunicazioni si usano sia modelli discreti che continui a seconda dell’applicazione.

    Potrebbe essere fertile ripensare anche la logica formale proprio a partire dalla nozione più primaria di flusso, invece che da concetti prettamente insiemistici come variabili e valori di verità. Il “filo logico” di un ragionamento è appunto un flusso sequenziale di passaggi. La semantica denotazionale in logica si fonda sul concetto di flusso di informazioni in una dimostrazione. Alcuni concetti logico-formali potrebbero essere riconcettualizzati in termini di: flussi di informazioni, transizioni semantiche, evoluzioni temporali, dinamiche causali. Questo potrebbe aprire a una “logicizzazione” di concetti propri delle scienze dinamiche. Seppur complesso, può essere uno stimolo per ripensare in modo più aderente la natura “scorrevole” anche del pensiero logico-deduttivo.

    Concludendo…

    Sappiamo che la matematica attuale ha qualche problemino con la teoria della misura (v. paradosso di Banach-Tarski, dimostrato un secolo fa). Mettiamo nel calderone anche la misura della complessità algoritmica e quindi l’annosa questione della congettura “P=NP?”, risalente a mezzo secolo fa. Misurare ed individuare è proprio ciò che nel mondo degli insiemi è semplificato rispetto al mondo dei flussi: come abbiamo visto, negli insiemi si può sempre individuare ogni singolo elemento.

    Sappiamo anche che la fisica e l’informatica trattano sostanzialmente flussi (materia, energia, informazione) e che il linguaggio matematico è basato sugli insiemi, non sui flussi. Questo spiegherebbe perché ci sono oggettive difficoltà, in fisica, a descrivere alcuni fenomeni – e se il dualismo onda-particella si risolvesse introducendo il concetto di flusso?

    Abbiamo insomma alcuni indizi: ripartire dai flussi può rivelarsi un’opportunità. Occorre accettare l’idea di immergersi nella complessità – e matematizzarne il paradigma! – ed abbandonare eroicamente le tranquille sponde del semplice e del complicato.

  • I numeri fluttuanti

    I numeri fluttuanti

    [Tempo di lettura: 8 minuti]

    Se non conosci già questa formula matematica:

    1=0,999….

    di primo acchito, puoi restare stupito o perplesso.

    Significa che “1” e “0,999…” rappresentano la stessa quantità.

    Siti web, video, libri… le diverse spiegazioni e dimostrazioni di questa uguaglianza, che è un fatto matematicamente accettato, hanno dato luogo a numerose riflessioni e discussioni. In comune, le varie dimostrazioni hanno il ricorso ad un tipo di passaggio matematico detto: “passaggio al limite”. È piuttosto intuitivo ma ha implicazioni non banali e, qualche volta, persino contro-intuitive. Se non lo conosci già, provo a spiegartelo qui di seguito.

    Ecco un esempio basato sulle fette di torta. Supponiamo di avere a disposizione una certa quantità unitaria, per esempio una torta, e di poterla dividere in tante parti uguali quante ne vogliamo. Se divido per 2, otterrò due belle fettone grandi. Se divido per 3, ciascuna fetta sarà molto più piccola, se divido per 4 sarà ancora più piccola… Se divido per 1000, ogni fetta sarà probabilmente trasparente… Dunque se n è il numero di parti uguali in cui divido la torta, la dimensione della fetta, pari a 1/n, tende a diventare sempre più piccola, sempre più piccola…

    n1/nrappr. decim.
    111,000…
    2½0,5000…
    31/30,333…
    41/40,25000…
    1001/1000,01000…
    100.0001/100.0000,000001000…
    1/∞0,000…
    Se potessi scrivere all’infinito e completare la tabella, riuscirei a scrivere anche l’ultima riga… ma non posso!

    Possiamo immaginare che, al limite, quando n tende verso l’infinitamente grande, 1/n vale quasi 0. Per riassumere questa situazione possiamo dire che: “se n tende all’infinitamente grande, il limite di 1/n è 0″.

    \lim_{n\rightarrow\infty}\frac{1}{n}=0

    Torniamo alla nostra sorprendente uguaglianza tra 1 e 0,999… Come dicevo, in un modo o nell’altro, risulta che se si potessero scrivere tutte le infinite cifre del membro destro dell’uguaglianza (“0,999…”) allora si potrebbe descrivere compiutamente una quantità identica a quella espressa del membro sinistro con il solo simbolo “1”.

    Sinceramente, faccio una gran fatica ad accettare che un ragionamento matematico si fondi su qualcosa che è impossibile. Se condividi, accompagnami in un brevissimo viaggio verso una maggiore profondità nell’oceano matematico.

    Sul fondale dell’oceano troviamo gli schemi mentali comuni alla maggior parte degli esseri umani in quanto indotti da fattori fisiologici.

    Uno di questi schemi, secondo me, è quello dell’errore controllato. La nostra mente è molto brava ad astrarre eliminando particolari inessenziali e riempiendo vuoti con contenuti plausibili. Praticamente ogni comunicazione, in qualunque forma, anche quella del linguaggio non verbale, sfrutta l’uso di percezioni sensoriali per trasmettere pensieri in modo indiretto, attraverso segni e simboli, compreso il linguaggio del corpo. Per esempio, la lettura della parola: “albero” evoca nella tua mente la tua idea di albero, che si è formata nella tua memoria per esperienza. Ciascuno degli alberi che hai visto assomiglia alla tua idea di albero. La nostra memoria fissa solo una piccola parte del dato sensoriale, sicché gli errori sono già alla fonte. Si tratta sempre e comunque di errori sotto controllo, cose che possiamo gestire. Se così non fosse, o meglio, quando occasionalmente comprendi male o apprendi in modo errato, possono accadere incidenti ed esperienze indesiderate o dolorose perché progetti comportamenti basandoti su modelli predittivi non aderenti alla realtà, non veritieri.

    Propongo di rifare il ragionamento riguardante “1=0,999…” basandoci sull’idea di errore controllato anziché su quella di passaggio al limite. L’idea sottostante è che il passaggio al limite è reso paradossalmente possibile da una nostra limitazione: la capacità di discriminare tra due quantità indicate da altrettante scritture non è infinita, ha sempre e comunque una certa precisione. Oltre una certa precisione non arriviamo, sicché due scritture possono risultare confondibili, nel senso che tendiamo ad identificare le quantità o gli schemi da essi indicati, anche se non sono in tutto e per tutto identiche.

    È vero o falso che “1” e “0,999…” rappresentano la stessa quantità? Lavorando sulla rappresentazione decimale, mi accorgo che qualunque metodo di controllo, qualunque procedura per misurare la differenza tra la quantità indicata da “1” e quella indicata da “0,999…” è destinato ad essere inconcludente o meglio ciclico, ripetitivo, rinviando ad ordini di grandezza sempre più bassi. Prima o poi però mi devo fermare, non c’è niente da fare: la mia natura è finita, qualunque tecnologia è basata su materia ed energia disponibili in quantità finita. Se non altro, mi fermerò perché non reggo la noia oltre un certo limite o perché intuisco che non potrà mai cambiare nulla, che le mie azioni mentali non potranno far altro che ripetersi.

    Rilevare che una procedura è ciclica è un’atto mentale fattibilissimo. Non sempre è facile: si pensi ad un numero decimale periodico con un periodo lungo mille cifre. La procedura che ci consente di calcolare la prossima cifra dello sviluppo decimale è ciclica ma accorgersene potrebbe risultare molto difficile. Nel nostro caso non è così: bastano pochi passaggi per accorgersene. Bastano pochi passaggi e ci accorgiamo che la produzione della prossima cifra di 0,999… comporta l’esecuzione di passi identici a quelli precedenti, salvo scendere di ordine di grandezza. Comunque, se la nostra precisione di calcolo è prefissata, non serve neppure l’abilità di rilevare ciclicità: basta calcolare una quantità di cifre decimali pari a quelle che la nostra precisione ci consente di gestire. Ad un certo punto, la differenza tra 1 e 0,999… sarà inferiore alla soglia di precisione.

    Per chi conosce il principio d’induzione: ebbene sì, abbiamo una procedura (che si può scrivere in funzione della nostra soglia di precisione) che arriva sempre a costruire uno sviluppo decimale di 0,999… quantitativamente equivalente a 1 in relazione alla nostra capacita di discriminare tra quantità, riferita a quante cifre decimali riusciamo a gestire.

    Possiamo allora concludere che “1” e “0,999…” sono confondibili, nel senso che indicano la stessa quantità, salvo un eventuale errore talmente piccolo da poter essere trascurato.

    Attenzione! Non siamo costretti ad ammettere che “1” e “0,999…” siano la stessa scrittura o che siano due scritture intercambiabili, ma solo che indichino sostanzialmente la stessa quantità, sicché sono intercambiabili nei ragionamenti in cui non conta la forma ma la “sostanza”. Possiamo mantenere distinte le due relazioni di uguaglianza tra scritture “=” e di confondibilità “≈”, evitando di dare per scontato – potrebbe essere una forzatura – che siano la stessa cosa. Ammettiamo solamente, almeno per ora, che due scritture formalmente e computazionalmente diverse come “1” e “0,999….” siano confondibili nel senso che esprimono sostanzialmente la stessa quantità. Scriviamo dunque così per indicare la confondibilità:

    1 ≈ 0,999…

    Vorrei ora proporre una situazione un po’ particolare che ci aiuti a generalizzare l’idea di confondibilità e ad apprezzare la distinzione tra essa e l’uguaglianza algebrica, quella indicata con: “=”, in modo più generale.

    Immaginiamo ora un nuovo tipo di numeri, rappresentabili in base 10 con un numero finito di cifre decimali, le cui ultime cifre decimali fluttuano nel tempo in modo casuale.

    Per prima cosa, notiamo che le scritture indicanti quantità significano davvero qualcosa se c’è qualcuno che le legge e le interpreta. Ogni lettura è un atto concreto, un evento a se stante, irripetibile perché la nostra esistenza ha natura lineare. Due letture possono essere molto simili ma comunque c’è almeno una differenza: l’istante in cui vengono fatte o la persona che legge. In generale, non è garantito che ogni lettura dia sempre lo stesso identico effetto, che la scrittura sia interpretata sempre perfettamente allo stesso modo.

    In altri termini, non è così assurdo concepire una scrittura indicante quantità che, se viene letta più volte, fornisca sempre le stesse prime cifre ma, sotto un certo ordine di grandezza, le restanti cifre possano variare potenzialmente ad ogni lettura in modo imprevedibile per chi le legge.

    Non serve assumere sostanze psicotrope. Per esempio, si possono far scrivere le ultime cifre con una lente potente da un amico, per poi leggere le stesse cifre senza l’ausilio di nessuna lente. Quando faccio l’esame dall’oculista o dall’ottico succede qualcosa del genere. Ogni volta che provo a leggere una scrittura troppo piccola, tento di indovinare, interpretando ciò che percepisco in modo fluttuante.

    Paziente: dottore, vedo una F ma forse è una R. Dottore: Sicuro? Non potrebbe essere una E o una B?

    In informatica, non è per nulla difficile immaginare una situazione del genere, anzi è un problema in cui spesso si incappa. Capita per esempio di usare programmi per dati contabili con precisione di due cifre dopo la virgola, per poi trovarsi in difficoltà quando vengono coinvolti beni che si usano in grande quantità, per cui basta una fluttuazione di cifre decimali di ordine molto basso per causare effetti apprezzabili.

    Ecco perché, per esempio, i prezzi dei combustibili alla pompa vengono indicati con 3 o 4 cifre dopo la virgola, anche se nella valuta corrente si trattano solo le prime due.

    Recepire il concetto di confondibilità, di errore sotto controllo, di precisione limitata è, da un lato, matematicamente… spaventoso! Però apre un mondo di possibilità. Per esempio, fu proprio in conseguenza alla limitatezza nella precisione dei calcoli meteorologici che Edward Lorenz diede vita alla teoria matematica del caos. La riflessione sarebbe molto ampia, limitiamoci qui ad una situazione più specifica ma comunque significativa.

    Attrattore strano di Lorenz. Il grafico rappresenta l’evoluzione di un sistema. Lo spazio geometrico della rappresentazione è chiamato “spazio delle fasi” ed ogni punto rappresenta una configurazione del sistema.

    Tornando a questi nostri strani numeri con le ultime cifre fluttuanti, oggetto di questa piccola riflessione, diamo loro dignità attribuendo loro un nome, quello di “numeri fluttuanti” e chiediamoci se e come possiamo trattarli. Abbiamo già visto alcuni modi per crearli e per leggerli. Come possiamo farci dei calcoli? Quali attenzioni avere per manipolarli “rispettosamente”, senza perdere alcuna informazione e quindi preservare il più possibile il livello di precisione? Per esempio, come fare la somma tra due numeri fluttuanti?

    Rivediamo più in dettaglio come possiamo interagire con un numero fluttuante. Ad ogni accesso in lettura al numero fluttuante otterremo come esito una sequenza di cifre che rappresenta un numero decimale in base 10 con una quantità di cifre superiore alla nostra capacità di distinguere tra quantità con simili rappresentazioni. Ciascuna delle scritture ottenute indica sostanzialmente sempre la stessa quantità. Le varie scritture, considerate nell’insieme, possono costituire una sequenza di interazioni in coinvolgenti un unico osservatore o possono essere una collezione di interazioni avvenute in parallelo coinvolgendo più di un osservatore. Questo, ai nostri fini, non importa. Ciò che conta è che possiamo sfruttare il lavoro già fatto dai matematici relativamente al calcolo numerico con approssimazione.

    Per esempio, consideriamo l’algoritmo di Kahan detto anche della sommatoria compensata. Grazie ad esso, l’errore peggiore possibile è indipendente dal numero degli addendi, dunque un gran numero di valori possono essere sommati con un errore che dipende solo dalla precisione della rappresentazione in virgola mobile.

    All’economia di questa nostra breve immersione nelle profondità matematiche, non serve approfondire la procedura di calcolo, ci basta sapere che si può fare. Idem per altre operazioni aritmetiche. Ciò che conta è sapere che i numeri fluttuanti sono trattabili.

    Due scritture di numeri fluttuanti possono essere uguali o no, confondibili o no. Se sono confondibili ma non uguali, il loro trattamento aritmetico è fattibile, come detto, ma fa emergere alcune criticità.

    • Un numero fluttuante è un individuo o un insieme?
    • Cosa succede alla precisione, cioè alla quantità di informazione, della scrittura risultante a seguito di un computo (o calcolo, elaborazione aritmetica) su numeri fluttuanti? Come distinguere tra metodi che preservano la precisione da quelli che la riducono?
    • Durante l’immersione abbiamo assistito all’entrata in scena del soggetto pensante o del processore. Come si sviluppa la relazione tra processore e numeri fluttuanti? In che modo questo è correlato alla precisione?

    Queste domande saranno argomento di altri post. La conclusione è che, toccato il fondale, possiamo iniziare a scavare!

  • Introduzione al paradigma della complessità

    [Tempo di lettura: 2 minuti]

    Cos’è il paradigma della complessità? Da dove cominciare per studiarlo? Cosa leggere, quali video guardare? Con chi confrontarsi? A cosa serve? Come utilizzarlo nel lavoro, in famiglia, in comunità, in società? Che rapporto c’è con l’approccio olistico?

    Cos’è il paradigma della complessità?

    Un paradigma del pensiero scientifico è costituito da regole metodologiche, modelli esplicativi, criteri di soluzione di problemi. Una rivoluzione scientifica è un cambio di paradigma. Le nuove mentalità o paradigmi cognitivi sono indotte dalle rivoluzioni scientifiche, si pensi alla teoria della relatività e al relativismo.

    L’ultimo paradigma è quello della complessità.

    Il paradigma della complessità, come l’approccio olistico, rifiuta l’idea semplicistica secondo la quale un sistema si spiega come semplice somma delle parti. Gli intrecci tra le parti del sistema rendono il tutto superiore alla somma delle parti. La vita, per esempio, non si può spiegare come semplice composto chimico ma è organizzazione, è uno schema che tende a conservarsi e replicarsi.

    In più, rispetto all’approccio olistico, il paradigma della complessità fa entrare in gioco il rapporto tra osservatore ed osservato, ammettendo la possibilità di modellare anche quando il controllo dell’osservatore non è completo. Un sistema in cui le parti interagiscono tra loro può essere complicato ma, finché l’osservatore ritiene di averne il controllo completo, non varca la soglia della complessità.

    Materiali per iniziare comprendere il paradigma della complessità

    woman in white long sleeved shirt holding a pen writing on a paper

    Pagine Web da leggere

    woman in brown scoop neck long sleeved blouse painting

    Dipinti

    Di fronte a molte delle opere di Pollock o Kandisky, il cervello non è in grado di riconoscere caratteristiche pre-codificate: non focalizza l’oggetto.

    pexels-photo.jpg

    Video

    pile of books

    Libri

    • Auto-organizzazioni di Alberto F. De Toni, Luca Comello, Lorenzo Ioan
    • Nexus si Mark Buchanan
    • Visual Complexity di Manuel Lima
    • Ciclo di Dune, saga fantascientifica di Frank Herbert: Dune (1965), Messia di Dune (1969), I figli di Dune (1977), L’imperatore-dio di Dune (1981), Gli eretici di Dune (1984), La rifondazione di Dune (1985)

  • “Complessità e contraddizioni nell’architettura”: non si tratta di problemi logici di progettazione ma di vedere come dinamico ciò che pensavo fosse stabile per antonomasia

    [Tempo di lettura: < 1 minuto]

    Mi sento a disagio a commentare una pietra miliare della cultura architettonica moderna, essendo io totalmente ignorante in materia. E’ il solito paradosso apparente, dovuto alla trasversalità del Pensiero della Complessità. Grazie a questo “linguaggio”, incredibilmente, riesco a capire quasi tutto il contenuto di questo intrigante testo.

  • “Complessità delle relazioni sociali. Tra logica e filosofia”: un viaggio fulmineo tra fondamenti della matematica e costruzione sociale della verità

    [Tempo di lettura: < 1 minuto]

    Come si fa in così poche pagine a passare dai fondamenti della matematica ad aspetti socio-antropologici? Sono quasi incredulo mentre lo leggo. Al termine della lettura aggiornerò la recensione. Per ora… suspance!

  • “Visual Complexity”: un libro da contemplare più che da leggere

    [Tempo di lettura: < 1 minuto]

    Immagini straordinarie sulla complessità. Belle, intriganti, stimolanti, divertenti. Grafici, fotografie, frammenti di libri antichi… Tante, tante, tante immagini. Da consultare quando se ne sente la necessità o quando si ha voglia di… immaginare.

  • “Le polilogiche della complessità”: ho letto l’ultima pagina…

    [Tempo di lettura: < 1 minuto]

    L’autore gioca sulla circolarità a più livelli. L’ho scoperto leggendo l’ultima pagina. Non lo faccio mai ma questa volta sono stato spinto da una bi-polarità: da un lato il libro è molto lungo e parla un linguaggio molto vicino a quello della filosofia, per cui si preannuncia oltremodo impegnativo per me, dall’altro lato il solo uso della parola “polilogiche” mi attrae terribilmente, tra l’altro facendo eco con l’argomento della mia tesi di laurea inerente la logica di base, da cui si possono derivare modularmente le grandi logiche note: classica, intuizionistica, paraconsistente, quantistica…

    Insomma, l’aspettativa è notevole. Staremo a vedere!

  • “La complessità del sé”: un classico per psicologi, una doppia sorpresa per me

    [Tempo di lettura: < 1 minuto]

    Ho trovato di estremo interesse questa lettura della costruzione del sé dal punto di vista della complessità auto-organizzata. Non pensavo di poter accedere a contenuti specifici di un campo del sapere che si trova all’esterno della mia area di comfort. Questo è stato reso possibile dal linguaggio unificante della teoria della complessità. D’altra parte, se la complessità è negli occhi di chi osserva, comprendere i meccanismi di base dell’osservatore è importante nel mio percorso.